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Nell’aprile 2107 un intervento della polizia del Somaliland ha liberato 25 giovani donne provenienti dall’Europa (tra cui sette dall’Inghilterra) e dagli Stati Uniti e tenute in prigionia. Le ragazze erano state mandate nel Paese dalle loro stesse famiglie per subire un percorso di “ri-educazione” in una “scuola” riservata alle giovani “ribelli” per evitare che diventassero troppo “occidentali”. Nella struttura subivano punizioni fisiche (botte, frustate, bruciature) o venivano rinchiuse in minuscoli sgabuzzini per ogni minimo errore o violazione delle regole imposte. Per molte di loro avrebbe dovuto concretizzarsi anche il matrimonio con uomini scelti dalle loro famiglie.
Dopo un anno trascorso in questo inferno, Jasmin Osman, 19 anni, è riuscita a fuggire dalla sua prigione e ha dato l’allarme. L’intervento della polizia del Somaliland, supportata dall’Foreign Office (il dicastero del Regno Unito preposto all’amministrazione degli affari esteri) ha permesso la liberazione delle ragazze. Una storia a lieto fine, almeno in apparenza: perché per Jasmine e le altre ragazze nate o cresciute nel Regno Unito l’incubo non era ancora finito.
Come ha raccontato il quotidiano inglese “The Time” con una dettagliata inchiesta pubblicata lo scorso 2 gennaio, alle donne e alle ragazze maggiorenni è stato chiesto di ripagare le spese sostenute dal Foreign Office per il ritorno a casa. “Il dipartimento ha aiutato 27 vittime di matrimoni forzati nel 2017 e 55 nel 2016 -denuncia il quotidiano-. Alle vittime che avevano chiesto aiuto è stato detto che avrebbero dovuto pagare centinaia di sterline per pagare il volo di ritorno a casa, il cibo e un alloggio. Le ragazze maggiorenni che non erano in condizione di poter pagare hanno dovuto firmare un accordo con il Foreign Office prima dell’imbarco in cui si impegnavano a restituire il debito”. In attesa della restituzione del denaro, alle donne è stato sequestrato il passaporto. Chi non ha potuto estinguere il debito entro sei mesi, si è vista aggiungere un ulteriore 10% di interessi. Negli ultimi due anni, secondo quanto riferisce il “Times”, il Foreign Office ha prestato 7.765 sterline ad almeno otto vittime di matrimonio forzato che non hanno potuto affrontare le spese per il ritorno a casa. Appena tremila sterline sono state restituite, mentre più di 4.500 sterline restano sulle spalle delle debitrici.

Il difficile ritorno a casa

Ayaan, una delle giovani liberate lo scorso aprile, racconta il “Times” si è vista presentare un conto di 740 sterline. “Non potevo chiamare la mia famiglia per chiedere aiuto”, ha raccontato la ragazza, spiegando che è stata la madre a farla rinchiudere nella “scuola” alla periferia di Hargheisha, la capitale del Somaliland. “Il debito mi ha causato molta ansia. Alla fine un paio di amici mi hanno aiutato e ho usato parte dei soldi del mio prestito universitario. È triste il modo in cui siamo stati abbandonati, molte di noi sono ancora segnate da quello che è successo. Sto cercando di fare del mio meglio per andare avanti, ma è molto difficile”.
Contattato dal giornale, un portavoce del Foreign Office ha spiegato che l’ente ha l’obbligo di recuperare i fondi pubblici spesi per le operazioni di rimpatrio. “La Forced Marriage Unit (un’agenzia del ministero dell’interno, ndr) fornisce finanziamenti ai centri di accoglienza e alle Ong per garantire che le vittime di matrimonio forzato possano raggiungere al più presto un posto sicuro”. La difficile situazione in cui si trovano queste ragazze (che senza passaporto non possono lavorare) stride con le dichiarazioni roboanti del governo sull’impegno a contrastare ai matrimoni forzati e precoci. Il primo ministro Theresa May aveva definito questa prassi “una tragedia per ogni vittima” e aveva assicurato che il governo era al lavoro per “assicurare un futuro sicuro per le migliaia di donne e ragazze a rischio”.

Matrimoni forzati nel Regno Unito, i numeri del fenomeno

In base ai dati forniti dalla “Forced marriage unit” del ministero dell’Interno inglese ((Home Office), sono state circa 1.200 le segnalazioni relative a possibili casi di matrimoni forzati. Quasi otto casi su dieci (il 78%) riguardano donne e ragazze, per un totale di 930 casi segnalati su 1.196. In 355 casi, le vittime hanno meno di 18 anni (di cui 186 under 15). “Questi dati rappresentano solo i casi che sono stati segnalati alla Forced marriage unit -si legge nel report-. I matrimoni forzati solo raramente vengono denunciati e i dati a nostra disposizione possono non rispecchiare le esatte dimensioni del fenomeno”.
Nel corso del 2017 i Paesi in cui si sono registrati il maggior numero di segnalazioni sono stati Pakistan, Bangladesh, Somalia e India. Più di 400 casi di matrimoni forzati hanno riguardato cittadini di origine pakistana o si sono svolti in Pakistan: nel 78% dei casi, sono donne e ragazze. Simili proporzioni si ritrovano anche nella comunità bengalese: 129 i casi segnalati, al 71% donne e ragazze.

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