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Se usate regolarmente i social, molto probabilmente negli ultimi giorni vi sarete imbattuti in una notizia dal titolo choccante: “Yemen, sposa a otto anni: muore dopo la prima notte di nozze”. A corredo due foto: quella di sinistra ritrae un uomo sulla quarantina, quella di destra una bimba con il capo avvolto in in un velo bianco. L’istinto a cliccare sul tasto “condividi” e commentare con tutto il proprio sdegno è immediato. Fortissimo.
Ma… basta aprire il link scorrere l’articolo fino al fondo per scoprire che la notizia risale al 2013. Una notizia vecchia, dunque. Ma non solo. Il sito “Butac-Bufale un tanto al chilo” ha dedicato alla vicenda un’analisi approfondita:
I fatti sono davvero tragici, ma cercando in rete a distanza di tre anni sembra che il tutto fosse una bufala, dall’articolo di Repubblica sono passato a quello del Giornale che riporta la stessa notizia, ma stavolta allega delle fonti. E cliccando su quella più “locale” ci accorgiamo che il sito GulfNews da cui il Giornale sostiene di aver attinto come fonte non sostiene che si tratti di una storia vera, anzi.

Insomma, la notizia inizia a scricchiolare.
Ieri, anche la giornalista Laura Silvia Battaglia – esperta di Yemen e autrice di un documentario sul traffico di minori tra Yemen e Arabia Saudita – ha dedicato all’argomento un post sulla sua pagina Facebook: “Ho conosciuto Ahmad al Quraishi, direttore della Ong “Seyaj” e le due presidenti della “Yemen Women Union” a Sanaa che si occupano di recuperare alla vita normale ex spose-bambine. Ho conosciuto il comandante della stazione di polizia ad Haradth (la località dove sarebbe avvenuto il fatto, ndr), Moshleh al Azzani, dove ho lavorato per un mese realizzando un documentario sui bambini trafficati Stop trafficking in the city. Tutti negano che l’episodio sia mai avvenuto”.
Laura Battaglia evidenzia poi come tutte queste fonti non abbiano avuto alcuna difficoltà “a consegnarmi testimonianze e vittime di altre vendite/abusi di minori ospiti nei loro centri”. Segno dunque che non c’è reticenza da parte delle realtà locali a denunciare il fenomeno delle spose bambine. Inoltre il giornalista che ha raccontato la storia “non è riuscito a portare alcuna prova della sua denuncia”, aggiunge Battaglia ma ha solo riferito il fatto che i vicini di casa avrebbero sepolto la bambina e che sarebbero in procinto (tre anni fa) di rilasciare una testimonianza.


In inglese, questo lavoro di ferifica della notizia e delle sue fonti si chiama fact cheking. Una prassi molto diffusa, soprattutto nelle testate più autorevoli, che serve ad assicurare una diffusione corretta delle notizie. In Italia, purtroppo, questo tipo di attività di verifica è molto meno diffuso, in modo particolare sulle testate online. E così capita (troppo) spesso che su testate anche autorevoli girino notizie false, totalmente inventate, distorte o incomplete.
Perché fare su questo blog questo lavoro di verifica con la notizia della baby-sposa yemenita? Per rispetto, innanzitutto, delle tante bambine e ragazze costrette ad abbandonare la scuola e i giochi per diventare mogli e madri. In Yemen, secondo le stime Unicef, il 32% delle ragazze si è sposato prima dei 18 anni e il 15% prima ancora dei 15 anni. Un giornalista che volesse raccontare le loro storie e denunciare le loro condizioni di vita non avrebbe certo problemi a recuperare materiale e informazioni corrette e da fonti autorevoli.
Peraltro, i matrimoni precoci non vengono praticati solo in Yemen o nei Paesi musulmani (come invece appare a una lettura superficiale di molti media). Ma, come rivela la mappa dell’associazione “Girls not brides” si tratta di un fenomeno che interessa tutta l’Africa, buona parte dell’Asia (India compresa) e molti Paesi dell’America latina.

Nel mondo, ogni anno, circa 15 milioni di ragazze sono costrette a sposarsi prima dei 18 anni. Questo significa 28 ragazze al minuto. Se non si interverrà al più presto per contrastare questo fenomeno un miliardo e 200 milioni di ragazze saranno costrette a sposarsi entro il 2050.

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