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Ci sono stereotipi duri a morire. A partire da quelli che tracciano una riga netta che separa gli sport “da femmine” da quelli “per i maschi”. Secondo questa visione, nei secondi rientrano il calcio, il rugby e la boxe. Sport in cui la componente fisica è predominante e che quindi, secondo tanti genitori e allenatori non sarebbero adatti alle “femmine”. Quando una bambina e una ragazza manifesta il proprio desiderio di praticarli spesso viene scoraggiata per essere orientata, invece, su discipline che vengono considerate più femminili come la pallavolo, la ginnastica, la danza o il pattinaggio. L’ultima spiaggia, per le irriducibili che proprio non vogliono rinunciare al contatto fisico, può essere il basket.

Ci sono poi contesti in cui le bambine e le ragazze vengono scoraggiate a priori dal praticare uno sport qualsiasi e soprattutto dalla pratica agonistica. In molti Paesi, ancora oggi, la società impone rigidi ruoli di genere che escludono le giovani dalla possibilità di praticare uno sport. Inoltre sulle ragazze gravano aspettative diverse: genitori e familiari si aspettano da loro che assumano responsabilità domestiche nel lavoro di cura in casa, che si sposino presto e che abbiano dei bambini. Oppure, se hanno la possibilità di studiare, che si impegnino in questa attività per ottenere buoni risultati. Tutti compiti che lasciano poco tempo e poche energie per lo sport.

Un altro fattore che pesa sulla limitata partecipazione delle ragazze alle attività sportive è la carenza di investimenti in strutture adeguate o la disparità di finanziamenti (le squadre e le federazioni femminili sono solitamente più “povere” rispetto a quelle maschili) che rendono più difficile il perseguimento di una carriera nello sport, spingendo così molte atlete a rinunciare al professionismo.

Perché non esistono gli sport femminili

Iniziamo con lo sfatare queste idee: non esistono sport “maschili” o più adatti ai maschi, così come non esistono discipline più adatte alle atlete di sesso femminile. Queste divisioni sono il risultato di stereotipi di genere e norme sociali ancora diffuse nella nostra cultura e nella nostra società. Che affondano le loro radici alle origini del movimento sportivo moderno, a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Persino il fondatore dei Giochi olimpici moderni, Pierre De Coubertin, in quel contesto attribuiva alle donne un ruolo ancillare -il loro compito era esclusivamente quello di premiare gli atleti- e si oppose duramente alla loro partecipazione alle gare. 

Alle prime Olimpiadi dell’era moderna del 1896 parteciparono solo uomini e a quelle successive, i giochi di Parigi del 1900, le donne presenti erano solo dodici: ma poterono partecipare solo alle gare di tennis e tiro con l’arco. Le donne fecero il loro debutto nell’atletica solo nel 1928 ma le distanze oltre i duecento metri furono vietate fino al 1960. Il motivo? Si pensava che le donne non potessero reggere fisicamente la fatica imposta dall’attività sportiva.

E invece anno dopo anno, competizione dopo competizione, le donne si sono conquistate sempre più spazio. Oggi sappiamo che nessuno sport ha un’identità di genere. Esistono il talento e la passione per la pratica sportiva, oltre alle attitudini, le propensioni personali e la fisicità di ciascun bambino e ciascuna bambina che si avvicina alla pratica sportiva. E a cui dovrebbe essere data la possibilità di mettersi liberamente alla prova, scevri da pregiudizi.

Queste categorizzazioni sono costruzioni sociali, che variano da cultura a cultura e che cambiano nel tempo. Prendiamo, ad esempio, il nuoto sincronizzato o la ginnastica ritmica: fin dalla loro origine sono stati considerati sport esclusivamente femminili, in cui non era prevista la partecipazione maschile. Ma le cose stanno cambiando proprio sotto i nostri occhi. Nel 2023, ad esempio, il duo di nuoto sincronizzato formato da Giorgio Minisini e Lucrezia Ruggiero ha vinto la medaglia d’oro agli Europei. Mentre la presenza dei giovani atleti maschi tra le discipline della ginnastica ritmica sta conoscendo una diffusione sempre maggiore.

Sport per tutti : ragazze che giocano a rugby

Perché lo sport è importante per il benessere delle ragazze

Lo sport è un potente strumento per il benessere delle bambine e delle ragazze, influenza positivamente la loro salute fisica e mentale, migliora le competenze sociali, la gestione del tempo, la resilienza e il senso di appartenenza. Questi vantaggi durano tutta la vita, preparando le giovani a diventare donne sane, fiduciose e consapevoli delle proprie potenzialità:

  • Benefici per la salute fisica. Lo sport aiuta a sviluppare forza, resistenza, flessibilità e coordinazione; inoltre riduce il rischio di sviluppare malattie croniche come obesità, diabete e malattie cardiovascolari. Diversi studi hanno anche dimostrato che le adolescenti che praticano regolarmente sport sono meno propense all’uso di alcol, tabacco e sostanze stupefacenti.
  • Benefici per la salute mentale. L’attività fisica è un ottimo modo per ridurre lo stress e migliorare l’umore grazie alla produzione di endorfine. Chi pratica regolarmente sport migliora la propria capacità di concentrazione e soprattutto può migliorare la fiducia in sé stessi e l’autostima, soprattutto quando le ragazze vedono i propri progressi e raggiungono gli obiettivi che si sono date.
  • Benefici per le competenze sociali. Lo sport insegna l’importanza del lavoro di squadra e della collaborazione, il rispetto per l’avversario e ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti dei compagni e degli allenatori. La capacità di perseverare nonostante le difficoltà e di gestire le sconfitte è fondamentale per gestire bene questa passione, ma sono competenze che saranno utili per tutta la vita.

Come fare per far crescere la pratica sportiva delle ragazze

Lo sport ha la potenzialità di cambiare in meglio le vite delle bambine e delle ragazze. Ma la pratica sportiva tra le ragazze rimane più bassa rispetto ai coetanei maschi. In Italia, ad esempio, il 27,9% dei maschi adolescenti pratica sport con continuità rispetto al 19,6% delle ragazze. Una differenza che si manifesta già a partire dai sei anni di età e raggiunge il picco tra i 18 e i 44 anni. Un sondaggio realizzato nel Regno Unito evidenzia come solo il 30% dei genitori pensi che lo sport sia “molto importante” per le figlie femmine, una percentuale che sale al 41% per i figli maschi.

La fondazione Women in sport propone cinque interventi per invertire questa tendenza per fornire alle bambine “il miglior punto di partenza possibile, alimentando la competenza e la fiducia in sé stesse fin da giovani per costruire la resilienza e dare il via all’amore per l’attività fisica per tutta la vita”. Ecco che cosa suggerisce:

  1. Circondare le ragazze con l’aspettativa che avranno successo. I genitori, gli insegnanti e i coetanei devono contribuire a cambiare l’immagine dimostrando che apprezzano la partecipazione delle ragazze alle attività sportive ed esprimendo l’aspettativa che possano avere successo.
  2. Costruire precocemente le competenze delle ragazze in modo da creare condizioni di parità. L’invito di Women in sport a educatori e allenatori è quello di incoraggiare e sostenere le atlete fin da giovani spronandole a lavorare e impegnarsi per padroneggiare i cosiddetti fondamentali, ovvero le tecniche tipiche di ciascuno sport come il palleggio nella pallavolo, i passaggi nel basket, il cross nel calcio. Sono fondamentali per avere successo.
  3. Non “sminuire” lo sport per le ragazze. Smettere di comunicare l’idea secondo cui le ragazze sono fragili, deboli e non amano la competizione. Rafforzate invece l’aspettativa che possano essere coraggiose, forti e impavide a modo loro e che ci si aspetta che siano, e possano essere, brave nello sport.
  4. Offrire più opportunità. Le ragazze devono avere le stesse opportunità dei ragazzi nell’educazione fisica a scuola, nei club doposcuola e nella comunità, in particolare negli sport di squadra. Le opportunità devono essere visibili, accessibili e creare un ambiente in cui le ragazze siano realmente accolte e valorizzate allo stesso modo.
  5. Sfruttare l’ambiente scolastico e extrascolastico. Gli insegnanti e gli allenatori devono investire per colmare il divario di competenze e di fiducia tra ragazzi e ragazze. Usare la scuola per creare il giusto atteggiamento tra i ragazzi nei confronti delle ragazze nello sport, in modo che ci sia un maggiore apprezzamento, valore e rispetto per le ragazze che praticano sport.

Cinque sportive che possono ispirare le ragazze

Le vicende personali, i traguardi sportivi e l’impegno fuori dal campo di gioco delle grandi atlete del presente e del passato possono essere fonte di ispirazione per le bambine e le ragazze che praticano un’attività sportiva. Tra le centinaia di storie da tutto il mondo ne abbiamo selezionate cinque e proviamo a riassumere i traguardi più significativi di queste atlete in poche righe. Con l’invito ad approfondire le loro storie.

Simone Biles. Classe 1997, Simone Biles è la prima e unica ginnasta nella storia ad aver vinto più di tre titoli mondiali nel concorso individuale ed è quella che ha conquistato più medaglie nella storia ai Campionati del Mondo (trenta in totale, di cui 23 d’oro) e la più medagliata di sempre tra Mondiali e Olimpiadi (37 in totale) non solo tra le donne, ma anche tra gli atleti maschi. Nel 2017 e nel 2021 la rivista Time l’ha inserita tra le cento persone più influenti del mondo. Intervistata dai giornalisti che paragonavano le sue prestazioni e i suoi successi a quelli grandi atleti della scena maschile ha risposto: “Non sono il prossimo Usain Bolt o Michael Phelps, sono la prima Simone Biles”.

La ginnasta statunitense ha dimostrato la propria forza e determinazione anche al di fuori della pedana di gara. Nel 2018 ha denunciato l’ex medico della squadra nazionale, Larry Nassar, per aver abusato sessualmente di lei e poi ha accusato la federazione statunitense di aver permesso questa situazione e per aver successivamente coperto gli abusi di Nassar nei confronti di centinaia di atlete.Questa situazione di forte stress ha avuto profonde ripercussioni sulla sua salute mentale, che hanno portato la Biles a ritirarsi da diverse finali dei Giochi di Tokyo 2020 per dare priorità al proprio benessere psicologico.Un coraggioso gesto di rottura all’interno di un contesto che invece spinge gli atleti a essere competitivi e performanti, anche a scapito della propria salute e del proprio benessere.

Simone Biles

Simone Biles alle Olimpiadi di Rio de Janeiro © Fernando Frazão/Agência Brasil – Creative Commons Attribuzione 2.0 Generico

 

Billie Jean King. Classe 1943. È considerata una delle migliori tenniste della storia con 12 titoli di singolare e 27 di doppio nei Grandi Slam. Negli anni Sessanta si è è battuta per l’uguaglianza finanziaria delle donne nello sport professionistico e nel 1981 ha fatto coming out, dichiarando pubblicamente la propria omosessualità.Ma l’evento che l’ha resa celebre in tutto il mondo e per cui ancora oggi viene maggiormente ricordata è la cosiddetta “battaglia dei sessi”.

Nel 1973 l’ex campione di tennis Bobby Riggs affermò pubblicamente che nonostante la sua età -55 anni- sarebbe stato in grado di battere le migliori giocatrici donne, dicendosi convinto che il tennis femminile fosse nettamente inferiore a quello maschile. Dopo un iniziale rifiuto, King accettò la sfida e vinse il match tenendo incollati allo schermo 50 milioni di telespettatori negli Usa e 90 milioni in tutto il mondo.”Pensavo che se non avessi vinto quel match saremmo tornati indietro di cinquant’anni -ha dichiarato King alla rete televisiva ESPN- Avrebbe rovinato il tour femminile e influenzato l’autostima di tutte le donne“.Conclusa la carriera agonistica, King è rimasta in prima linea nella lotta per l’uguaglianza di genere e per la parità salariale nel mondo del tennis e non solo. Tra le molte cose ha fondato la Women’s Sports Foundation, il cui obiettivo è “migliorare la vita delle ragazze e delle donne attraverso lo sport e l’attività fisica”.

Venus e Serena Williams. Classe 1980 e 1981. Venus Williams è stata la prima donna di colore a raggiungere la prima posizione nei ranking internazionali di questa disciplina. “Quando ho vinto Wimbledon per la prima volta nel 2000, il campione del torneo singolare maschile si aggiudicò 477.500 sterline, mentre la campionessa del torneo singolare femminile ne guadagnò 430mila. Da allora in poi, ho sentito il bisogno di battermi per la parità delle donne”.

Venus Williams supporta una fondazione che finanzia progetti educativi per le ragazze. Serena è la sorella minore di Venus ed è altrettanto vincente sul campo da tennis. Nel corso della sua carriera ha vinto premi per circa 95 milioni di dollari. Dal 2012 l’atleta ha deciso di adottare una dieta vegana in linea con il suo impegno per la tutela del benessere animale e la tutela dell’ambiente. È inoltre un’attivista per i diritti delle donne.

Le sorelle Serena e Venus Williams

Le sorelle Serena e Venus Williams agli Us Open del 2013 © Edwin Martinez1 – Creative commons attribution 2.0

 

Bebe Vio Classe 1997. Beatrice -Bebe- Vio è una schermitrice italiana, campionessa paralimpica mondiale ed europea in carica di fioretto individuale. Alle ultime Paralimpiadi di Tokyo ha ottenuto una medaglia d’oro e un argento. Dopo aver contratto la meningite all’età di 11 anni, Bebe ha subito l’amputazione delle braccia e degli avambracci: questi interventi che le hanno salvato la vita hanno però avuto un profondo impatto su lei. Non ha accettato di farsi definire dalla propria condizione. Ha iniziato a praticare la scherma in carrozzina mostrando grande talento e un’enorme tenacia che le hanno permesso di ottenere, giovanissima, importanti riconoscimenti sportivi. Il suo motto: “Se sembra impossibile, allora si può fare”. È impegnata nella promozione della pratica sportiva, in particolare per i bambini e i ragazzi con disabilità.

Bebe Vio

Beatrice “Bebe” Vio (al centro) sul podio del fioretto femminile a squadre ai Campionati europei di scherma del 2014 © Marie-Lan Nguyen / Wikimedia Commons / CC-BY 3.0

Nawal El Moutawakel Classe 1962. Ex ostacolista e velocista marocchina. Nel 1984 con la vittoria della medaglia d’oro nei 400 metri ostacoli ai Giochi olimpici di Los Angeles non solo è stata la prima donna a conquistare il primato olimpico per il suo Paese ma la sua è anche stata la prima medaglia d’oro femminile africana e la prima di una donna musulmana. I suoi successi sono stati celebrati in tutto il Medioriente e il Nord Africa, sebbene in diversi Paesi della regione lo sport femminile era (e in molti casi è tutt’ora) un’attività minoritaria per le donne. Le atlete musulmane, in particolare, hanno subito persecuzioni e in alcuni casi anche minacce per aver gareggiato senza coprire tutto il corpo. Sebbene sia stata costretta a ritirarsi solo pochi anni dopo a causa di un infortunio, El Moutawakel ha continuato a battersi per l’uguaglianza di genere all’interno del Comitato olimpico internazionale. La sua storia e il suo esempio hanno ispirato numerose atlete musulmane che hanno ottenuto premi e medaglie.

L’impegno di Terre des Hommes per il diritto allo sport femminile

Negli ultimi anni Terre des Hommes sta investendo molte energie nella costruzione di progetti, sia con le Federazioni sportive che con le singole realtà societarie, per costruire dei protocolli a tutela di bambini, bambine e adolescenti e dei Codici di Condotta per genitori, staff tecnici e atleti e atlete.
Inoltre promuove giornate per promuovere benessere e inclusione sociale attraverso lo sport in Italia e all’estero.
In questo modo intendiamo collaborare a costruire un ambiente sportivo dove non esistano più abusi sulle bambine e le ragazze, tantomeno stereotipi e discriminazioni di genere, in linea con quelli che dovrebbero essere i valori di inclusività dello sport.

Per contribuire a queste e ad altre attività di Terre des Hommes clicca qui

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