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Una violenza che viene praticata quotidianamente sul corpo di milioni di bambine ogni anno. Si celebra oggi, martedì 6 febbraio la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili istituita dalle Nazioni Unite. In base alle stime dell’Organizzazione mondiale per la sanità, le donne e le ragazze che hanno subìto una mutilazione genitale sono circa 200 milioni e vivono prevalentemente in 30 Paesi.
La Somalia è il Paese dove le mutilazioni genitali sono più diffuse: interessa praticamente tutte le donne (98%). Seguono la Guinea (96%), il Gibuti (93%), l’Egitto (91%), l’Eritrea e il Mali (89%), la Sierra Leone e il Sudan (88%). Poi vengono altri Paesi della fascia sub-sahariana in cui la percentuale delle donne coinvolte oscilla tra il 60 e l’80%, tra cui Gambia, Burkina Faso, Etiopia, Mauritania e Liberia. Sebbene negli ultimi anni siano stati fatti importanti passi avanti nel contrasto di questa pratica, se i trend attuali continueranno 86 milioni di ragazze nate tra il 2010 e il 2015 rischiano di subire una mutilazione genitale entro il 2030.

Una prassi che si tramanda di madre in figlia

Sono soprattutto le madri (e comunque le figure femminili all’interno dei nuclei familiari) a tramandare queste pratica, costringendo figlie e nipoti a subire questa crudele e inutile mutilazione. Come spiega Terre des Hommes Olanda, sono diverse le motivazioni che spingono a preservare il rito del “taglio”. In primo luogo l’esigenza di omologarsi agli usi e ai costumi della comunità, pochi osano sfidare tradizioni secolari e il rischio di finire ai margini della comunità.
Inoltre si pensa che una ragazza “tagliata” sia più appetibile per il futuro marito, che quindi sarà disposto a pagare una dote più alta. C’è poi un aspetto legato alla ritualità dell’operazione: la cerimonia del “taglio” rappresenta agli occhi di molte comunità un momento di passaggio che permette alle ragazze di diventare donne e acquisire un nuovo status all’interno della comunità. Infine, si pensa che la circoncisione sia un mezzo per prevenire il sesso pre-matrimoniale, le gravidanze non volute e le malattie sessualmente trasmissibili.

Mutilazioni genitali, una pratica dannosa

L’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) ribadisce chiaramente che le mutilazioni genitali “rappresentano una violazione dei diritti delle bambine, delle ragazze e delle donne” e che questa procedura “non ha nessun beneficio per la salute” e “rappresenta una violazione dei diritti delle donne e delle ragazze”.
Le mutilazioni genitali, anche quando vengono praticate nelle forme meno invasive, possono provocare gravi danni –nel breve e nel lungo periodo- alla salute delle bambine. Con il dossier “InDIfesa” di Terre des Hommes, che viene presentato ogni anno in occasione della Giornata mondiale delle bambine e delle ragazze che si celebra il 10 ottobre, abbiamo denunciato più volte i rischi connessi a questa pratica.
L’uso di lamette e forbici non sterili, che spesso vengono utilizzati per più interventi, possono provocare infezioni o sepsi, anche letali. Inoltre non sono rari i casi di bambine che muoiono per dissanguamento a seguito del “taglio”. Le conseguenze per la salute possono essere importanti anche nel lungo periodo: dolori durante i rapporti sessuali, cisti, difficoltà durante la gravidanza e il parto fino al rischio di morte per la mamma e il nascituro.

In aumento la medicalizzazione delle mutilazioni genitali

Da alcuni anni chi combatte per sradicare il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili deve fare i conti con una nuova problematica: la crescente tendenza a “medicalizzare” l’intervento. Un tentativo di ridurre i rischi medici legati alla pratica del “taglio” dei genitali femminili attraverso l’uso di strumenti sterili, sale mediche appropriate, affidando l’intervento a medici preparati, somministrando alle ragazze antidolorifici e antibiotici per affrontare e superare l’intervento.
“Uno degli argomenti che viene sostenuto da chi è favorevole alla medicalizzazione delle mutilazioni genitali è che questo tipo di intervento permette di mettere in campo procedure sicure nelle aree in cui non è stato possibile sradicare completamente le mutilazioni genitali”, si legge nel report di “28 too many”, un’organizzazione impegnata a contrastare questa pratica nei 28 Paesi africani in cui è maggiormente diffusa. Paradossalmente la medicalizzazione delle mutilazioni genitali femminili – si legge nel report – affonda le sue radici nelle campagne di sensibilizzazione sulle mutilazioni genitali e l’HIV/AIDS. “Evidenziando i rischi a breve e a lungo termine, ha inconsapevolmente spinto molti genitori verso procedure più sicure, piuttosto che abbandonare del tutto questa pratica”. Come conseguenza di ciò, sempre più spesso “il taglio” viene praticato in ospedale da operatori specializzati. In Egitto, ad esempio, la percentuale che è stata “tagliata” da personale qualificato era del 55% nel 1995 ed è passata al 77% nel 2008
Se da un lato la medicalizzazione offre maggiori garanzie per la tutela della salute delle bambine e delle ragazze nel breve termine, dall’altro anche un intervento eseguito alla perfezione non elimina le gravi conseguenze a lungo termine del taglio dal punto di vista fisico ed emotivo. Ma soprattutto, anche se praticate da un medico, le mutilazioni rappresentano una grave violazione dei diritti delle bambine e delle ragazze.

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