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Era la metà degli anni Novanta quando le autorità locali di Vienna hanno iniziato a prestare attenzione a un fenomeno (apparentemente) banale: a partire dai 10-12 anni di età, le bambine e le ragazze smettevano di frequentare i parchi pubblici e le aree gioco della città. Diversamente dai loro coetanei maschi, che continuavano ad animarli con partite di basket, corse e gare in skateboard, le ragazze, semplicemente, non si facevano più vedere. “Invece di alzare le spalle (…) si sono chiesti se ci fosse qualcosa di sbagliato nella progettazione dei parchi pubblici”, scrive Carolina Criado Perez, giornalista e attivista statunitense, nel suo ultimo libro dal titolo inequivocabile: “Invisible Women” (nell’edizione italiana “Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano”).
Nel saggio, Criado Perez analizza i molti ambiti in cui la mancanza di dati e informazioni sul corpo femminile e sulle esigenze specifiche di donne e ragazze si traduce in forme diverse di discriminazione o di esclusione in diversi ambiti della vita quotidiana: dal lavoro all’istruzione, dalla sicurezza in ambito urbano fino alla mobilità.
La vicenda dei parchi pubblici di Vienna rappresenta un’eccezione nel quadro di discriminazioni tracciato dall’autrice statunitense. Negli uffici della capitale austriaca, infatti, tecnici e progettisti hanno deciso di non ignorare la “scomparsa” delle ragazze dai parchi pubblici. Claudia Prinz-Brandenburg è una delle persone che ha affrontato il problema e che ha contribuito a ri-pensare i parchi cittadini inserendo una serie di accorgimenti che li hanno resi più adatti alle esigenze delle ragazze. Un percorso che è stato possibile attivare solo dopo aver raccolto i dati necessari e aver ascoltato i bisogni specifici e le esigenze di questa particolare classe d’età grazie a diversi workshop che si sono svolti per un anno intero.
Le ragazze hanno spiegato agli adulti che nel parco di Einsiedler (scelto per la sperimentazione) non c’erano strutture e spazi adatti a loro e, di conseguenza non avevano nessun motivo per fermarsi al parco durante il percorso tra casa e la scuola o per andarci di proposito: un campo da basket recintato e le panchine non erano sufficienti ad attrarre il loro interesse. Inoltre, la scarsa illuminazione e i vialetti stretti non garantivano alle ragazze una sufficiente sensazione di sicurezza. Un altro problema era dato dalla presenza di grandi spazi aperti, una condizione che le costringeva le ragazze a entrare in competizione con i loro coetanei e con i ragazzi più grandi.
Sulla base di queste informazioni, a Vienna i parchi pubblici e i playground sono stati progettati in modo diverso. È stata migliorata l’illuminazione, sono stati allargati i vialetti, sono stati installati nuovi elementi di arredo urbano (piattaforme, giochi e amache) e il parco è stato suddiviso in aree più piccole. Inoltre, sono state ridisegnate anche le aree sportive, inserendo accanto agli spazi per i giochi di squadra (come i campi da basket) spazi adatti ad attività informali che coinvolgono in misura maggiore le ragazze rispetto ai loro coetanei maschi. Un ultimo, fondamentale, elemento è stata la costruzione e la manutenzione dei servizi igienici. “Senza servizi igienici il tempo di permanenza delle ragazze nei parchi è limitato -ha spiegato Prinz-Brandenburg in un’intervista-. I maschi possono trovare delle alternative, ma le ragazze sono costrette ad andare a casa prima, ad esempio se hanno il ciclo”. I risultati si sono visti in poco tempo: suddividendo lo spazio in aree più piccole le ragazze hanno ripreso a frequentare il parco.

Progettare, stare un salute essere sicure

Ma perché investire tempo, risorse ed energie per risolvere un problema apparentemente banale come la frequenza dei parchi pubblici? La risposta la offre Claudia Prinz-Brandenburg: “Le ragazze hanno problemi di salute se praticano poco esercizio fisico, è un dato di fatto. Ad esempio c’è il rischio che sviluppino osteoporosi in giovane età“. Ma non si tratta solo di una questione legata al benessere e alla salute delle ragazze. Si tratta, innanzitutto, del diritto a usufruire degli spazi pubblici in condizioni di parità con i propri coetanei maschi. “Quando i pianificatori non tengono conto del genere, gli spazi pubblici diventano di default spazi maschili”, scrive Carolina Criado Perez. E questo per metà della popolazione globale -che ha un corpo femminile- può essere un problema, se pensiamo che alcuni spazi pubblici, in modo particolare in alcuni momenti della giornata, possono essere luoghi in cui le donne non si sentono sicure.

Spazi pubblici su misura… maschile

Lo spazio urbano determina il modo in cui organizziamo la nostra vita e le nostre comunità e, soprattutto, la nostra società. Come tale, riflette e riproduce gli stereotipi di genere con cui siamo cresciuti e coesistiamo”, scrive Horacio Terraza, urbanista presso la Banca Mondiale e uno degli autori del manuale per la pianificazione inclusiva delle città pubblicato a inizio 2020 dall’organizzazione. “Costruiamo città pensandone l’uso da parte di un ‘neutro maschile’ e in cui il ruolo delle donne è nello spazio privato della casa piuttosto che in quello pubblico”. Questa netta separazione tra spazi pubblici e privati fa sì che le donne e le ragazze si sentano a disagio negli spazi pubblici.
“In città gli spazi pubblici e le strade sono molto pericolosi. Ci sono gang, rapine, scippi; si può essere rapite, inseguite, molestate sessualmente e violentate. Camminare per strada è pericoloso. Soprattutto di notte in zone isolate”, ha detto una giovane donna di Lima (Perù) intervistata dagli esperti della Banca Mondiale. Uno studio condotto dipartimento dei trasporti del Regno Unito (citato nel libro “Invisibili”) evidenzia che il 62% delle donne ha paura quando deve attraversare a piedi un parcheggio multi-piano, il 60% ha paura sulle banchine dei treni, il 59% ha paura quando deve camminare per tornare a casa dalla fermata dell’autobus.
Di fronte a questa paura e a questa sensazione di insicurezza, tuttavia, raramente arriva una risposta specifica. L’idea radicata tra gli esperti (solitamente di sesso maschile) che pianificano e progettano gli spazi pubblici è che il tema della sicurezza non abbia sesso e che non esistano specifiche esigenze femminili. La risposta delle agenzie di trasporto pubbliche statunitensi citata nel libro di Carolina Criado Perez è indicativa: moltissime aziende avevano installato sistemi di telecamere a circuito chiuso e allarmi anti-panico sugli autobus, ma pochissime avevano pensato a dispositivi di sicurezza alla fermata dell’autobus (che, invece, è quello che vogliono le donne, che sono molto più spaventate dal dover aspettare da sole al buio). Gli uomini sembrano preferire approcci tecnologici (e probabilmente meno costosi) mentre per le donne la sicurezza passa da altri tipi di intervento, come la presenza di vigilanti in carne ed ossa rispetto all’occhio di una telecamera che viene (forse) monitorato a chilometri di distanza.

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