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Le violenze di Boko Haram hanno lasciato i primi segni sulla vita di Khady quando la ragazzina non aveva ancora compiuto 15 anni. I suoi genitori sono contadini e hanno sempre lavorato duramente per dare alle figlie la possibilità di frequentare la scuola: Khady avrebbe voluto diventare un medico. Ma all’improvviso la violenza del gruppo terroristico ha spazzato via tutti i suoi sogni e i progetti: quando la sorella, di appena 11 anni, è stata rapita Khady ha smesso di andare a scuola per timore di subire la stessa sorte. Ha accettato di sposarsi, ad appena 15 anni, diventando madre di due gemelli pochi mesi dopo.
Poco dopo la nascita dei bambini, però, anche Khady è stata rapita dagli uomini di Boko Haram assieme ad altre 300 ragazze della sua comunità. Ridotta in schiavitù, maltrattata, picchiata e costretta a sposare uno sconosciuto: “Ho pianto e pregato di poter tornare a casa dai miei genitori -ricorda la ragazza, che oggi ha appena 18 anni-. A un certo punto ho perso la speranza”. Solo dopo due tentativi di fuga falliti, Khady è riuscita a ritornare a casa, ma la sorella minore e i figli sono ancora nelle mani dei miliziani islamisti.
Grazie al programma “Search for common ground” sostenuto dall’Unicef, Khady ha seguito un corso di sartoria, ha imparato a usare una macchina da cucire e ha iniziato a lavorare come sarta: “Il mio lavoro mi ha aiutato a dimenticare quello che ho subito. Non avrei mai creduto di poter uscire da questa fase della mia vita”. Anche Sarah, 17 anni, ha ricostruito la propria vita imparando a cucire tra loro tessuti colorati. “Abitavo nel Villaggio di Masisi quando i soldati sono arrivati e ci hanno portato nella foresta“, racconta la ragazza originaria del Nord Kivu nella Repubblica Democratica del Congo. I soldati appartenenti a una delle tante milizie irregolari che imperversano nella regione l’hanno separata per sempre dalla sua famiglia: “Ho sofferto molto nella foresta”, racconta Sarah.

Più di 21mila bambini reclutati in Africa Occidentale

Vicende come quelle di Sarah e Khady -purtroppo- non sono isolate. I Paesi dell’Africa centro-occidentale (una regione enorme, che va dalla Nigeria al Burkina Faso, attraversando tutta la fascia del Sahel per spingersi fino alla Repubblica Democratica del Congo) sono segnati da tensioni e conflitti che colpiscono duramente le popolazioni civili e in particolare i bambini. “Negli ultimi cinque anni, la regione ha costantemente registrato uno dei più elevati livelli di gravi violazioni verificate dalle Nazioni Unite contro i bambini nei conflitti armati“, denuncia Unicef nel report “Build back better lives”.
Tra il 2016 e il 2020, nei Paesi della regione si sono verificati più di 21mila episodi verificati di reclutamento di minori da parte di eserciti e milizie irregolari. Più di duemila tra bambini e bambine sono stati vittima di violenze sessuali, i minori rapiti sono stati più di 3.500 e si sono registrati più di 1.500 attacchi ai danni di scuole e ospedali.”L’Africa centrale e occidentale è la regione in cui si è registrato il maggior numero di reclutamento di minori da parte di eserciti e milizie irregolari -denuncia Unicef-. Secondo i dati delle Nazioni Unite, solo nel 2020 sono stati più di 4.500 i minori reclutati: il 77% erano di sesso maschile”. Bambine e ragazze sono le vittime silenziose dei reclutamenti da parte delle milizie, denuncia Unicef. La situazione è particolarmente drammatica nella Repubblica Democratica del Congo dove la quota femminile tra i piccoli combattenti oscilla fra il 30 e il 40%. Eppure, tra i minori che riescono a fuggire o vengono liberati dai gruppi armati attivi nel Paese e che successivamente entrano nei progetti di reinserimento, bambine e ragazze “pesano” solo per il 15%. Secondo Unicef la principale ragione di questa situazione è da ricercare nello stigma che accompagna queste ragazze e il loro drammatico vissuto.

Il numero delle bambine soldato è in crescita

Rispetto agli anni Novanta, il tema dei bambini soldato riceve molta meno attenzione (in particolare da parte dei media). Eppure il fenomeno, sottolineano le Nazioni Unite, ha continuato ad aggravarsi e le bambine rappresentano circa il 40% dei minori reclutati da eserciti e milizie di tutto il mondo. A differenza dei loro coetanei maschi, le bambine e le ragazze vengono impiegate meno frequentemente in combattimento: a loro si affidano prevalentemente compiti nelle “retrovie” come la preparazione dei pasti, la pulizia. Ma questo non le mette al riparo da violenze e abusi: spesso le bambine reclutate diventano “mogli” dei combattenti o sono costrette a prostituirsi.
“Dal momento che le ragazze sono in gran parte utilizzate in ruoli di ‘supporto’ o ausiliari e tenute lontane dalle linee del fronte, spesso non sono percepite come associate dagli attori armati o dalle comunità. Possono non essere incluse nelle statistiche ufficiali e non essere intercettate dalle agenzie di protezione dell’infanzia scrive l’ong britannica “Action on armed violence“-. Le ragazze, in breve, sono spesso vittime silenziose in guerra. I dati di Child soldiers international mostrano come il reclutamento di ragazze soldato sia aumentato drammaticamente negli ultimi anni”.

Un difficile ritorno alla normalità

Chi sopravvive a queste esperienze terribili e riesce a fuggire o viene liberato dai gruppi armati ha bisogno di supporto e interventi ad hoc per superare i traumi subiti e tornare a vivere. Grazie al supporto di Unicef e dell’International rescue committee (Irc) Sarah ha trovato accoglienza presso una famiglia affidataria, ha ricevuto supporto psicosociale e ha potuto frequentare un corso di sartoria. “Sono felice di aver imparato a cucire. Questo mi rende felice -racconta la ragazza-. Aprirò una scuola e continuerò a imparare nuovi stili, guadagnerò abbastanza denaro, mi costruirò una carriera e mi farò una famiglia”.
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