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“Solitamente la street art è dominata dagli uomini. Ma cosa c’è di male nell’essere una donna e dipingere sui muri?”. Un hijab chiaro sul capo, una pesante maschera nera sul volto per ripararsi dai vapori delle bombolette spray. Il soprabito sporco di vernice. Laila Ajjawis, palestinese di 25 anni, sembra quasi una supereroina. Una di quelle dei fumetti.
Si muove veloce, davanti al muro di cemento che ha scelto per la sua ultima opera: il volto velato di una donna dagli occhi intensi. Siamo nel campo profughi palestinese di Irbid in Giordania. Durante il giorno, Laila lavora per una Ong. Ma nel tempo libero riempie di linee e colori i tristi muri del campo. Soprattutto con immagini di cavalli e figure femminili. “Tutti questi simboli femminili sono una novità”, spiega Laila. Che attraverso la scelta di raffigurare donne “forti” vuole lanciare un messaggio di speranza e di coraggio a tutte le bambine e le ragazze del campo: “Possono esprimersi senza quei limiti che la società e la comunità cerca di imporre loro”. Con i suoi disegni, Laila spera di mostrare alle altre donne e ragazze rifugiate che possono prendere il controllo del proprio destino.

Un messaggio importante se si pensa che in Giordania c’è ancora molto da fare per i diritti delle donne. Certo, le bambine possono andare a scuola e le donne possono votare. Ma la loro rappresentatività nella società e nella politica resta molto bassa. Inoltre, solo il padre può trasmettere ai figli la cittadinanza e così i figli di una donna giordana che ha sposato uno straniero restano in un limbo, senza accesso di diritti fondamentali (cure mediche e scolarizzazione). Per non parlare della diffusione della violenza domestica: il 90% delle donne giordane è convinto che “in alcune cirostanze” i mariti abbiano il diritto di picchiare le mogli. Lo stupro viene persino legalizzato se l’aguzzino decide di sposare la propria vittima.
Grazie ai sacrifici della sua famiglia, Laila ha potuto studiare, anche se i suoi genitori hanno contratto pesanti debiti per poter far studiare lei e i suoi fratelli. “Io credo in me stessa. Credo che non importa da dove vieni, importa solo quello che farai”, spiega. Sottolineando l’importanza di combattere contro gli stereotipi e le discriminazioni. Che – come giovane donna palestinese – conosce bene.

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