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Aqeela Asifi è un’insegnante. Nel 1992 lei e la sua famiglia fuggirono dall’Afghanistan devastato dalla guerra per trovare rifugio in un campo profughi in Pakistan. La donna è rimasta choccata da quello che vide: “Alla maggior parte delle ragazze non era permesso andare a scuola. L’educazione è un diritto umano fondamentale e a quelle ragazze quel dirtto veniva negato”. Aqeela ha solo 26 anni ed è un’insegnante. Così decide di rimboccarsi le maniche e fare qualcosa. Oggi, 23 anni dopo, grazie a lei più di mille ragazze afghane hanno potuto studiare. Un impegno che è stato riconosciuto con il prestigioso Premio Nansen.
Il primo passo per cambiare le cose – racconta Aqeela Asifi nel lungo post pubblicato sul sito girleffect.org – è stato quello di convincere gli anziani della comunità che le ragazze avevano diritto all’istruzione. Per scardinare una cultura e una tradizione che obbligano le ragazze a restare a casa, con le proprie famiglie, fino a quando non raggiungono l’età per diventare spose e madri. “Ai loro occhi, l’educazione non era importante perché pensavano che non ne avessero bisogno”, spiega Aqeela.
Scardinare questi convincimenti è stato particolarmente difficile. I genitori stessi – ad esempio – spesso sono analfabeti e non vedono il valore dell’educazione per i propri figli. E così preferiscono che vadano a lavorare anziché “perdere tempo a scuola”. “La causa principale che tiene le bambine lontane da scuola è l’ignoranza – spiega l’insegnante -. Il timore che una ragazza istruita possa diventare indipendente e chiedere i suoi diritti, un fatto che in questa socità è inaccettabile”. Talvolta queste convinzioni sono così radicati che nessuno ora sfidarli.
La società del campo profughi in cui si è trovata Aqeela Asifi era molto tradizionale e legata a vecchi stereotipi. “Non erano pronti per accettare qualcosa che sentivano in contrasto con le proprie tradizioni tribali – spiega la donna -. Ho dovuto convincere gli anziani, coloro che prendevano le decisioni. Questo ha richiesto molte discussioni”.
Lunghi e faticosi negoziati che però hanno dato i loro frutti: “Le ragazze che 20 anni fa sono state mie alunne ora mandno le loro figlie nella mia scuola. Sto educando la seconda generazione dei miei studenti”. Aqeela Asifi ha iniziato il suo lavoro in una stanza della sua casa, anche per offrire alle studentesse un ambiente sicuro, offrendo loro corsi di alfabetizzazione di base, studi islamici ed economia domestica.
“Quando ho iniziato, avevo solo 12 alunne. Con mia grande sorpresa, queste ragazze hanno iniziato a parlare della scuola con le loro cugine e sorelle – racconta la donna -. Gradualmente sempre più genitori hanno permesso alle loro figlie di provare la mia scuola”. Lentamente, il numero di studentesse è cresciuto. La casa di Aqeela Asifi è stata sostituita da una tenda adibita a scuola e oggi le lezioni si svolgono in un edificio costruito appositamente. Il cambiamento è stato lento, ma tangibile. “Vent’anni fa conoscevo famiglie che si opponevano con forza all’educazione delle ragazze. Oggi gli stessi genitori vengono da me per chiedermi quale corso di studi possono seguire le loro figlie, una volta che hanno concluso il percorso di studi all’interno della scuola nel campo profughi”.

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