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In alcune aree dell’Afghanistan c’è una consuetudine molto radicata. Quando tra due famiglie si accende un conflitto particolarmente grave, la jirga (ovvero il consiglio degli anziani) interviene per pacificare la situazione. Il decreto più frequente, prevede che siano le nozze tra due membri delle famiglie rivali a stabilire la pace. Una decisione che non tiene in nessun conto il volere delle donne e delle ragazze – spesso molto giovani – costrette a subire questa decisione.
Questo avrebbe dovuto essere il destino di Madina (nome di fantasia, scelto per tutelare la sua identità ndr): sposare un uomo molto più anziano di lei, già sposato e padre di molti figli, per suggellare la pace tra le due famiglie. Una situazione che – come spiega la ragazza all’agenzia Redattore Sociale – l’avrebbe costretta a vivere e a lavorare come una schiava per la famiglia del marito. Le donne che sono costrette a sposarsi per decisione di una jirga, infatti, vengono continuamente umiliate dalla famiglia in cui entrano e ne diventano una proprietà
I genitori della ragazza, con coraggio, si ribellano a questa decisione. Il padre, in modo particolare, si oppone malgrado le continue minacce da parte della famiglia “rivale”. Una situazione che ha persino costretto la famiglia a lasciare il proprio villaggio d’origine per evitare possibili ritorsioni.
Madina, che in quel periodo si trovava già in Italia con un visto di lavoro, ha chiesto e ottenuto lo status di rifugiata. Lei, ora, è al sicuro. Ma le sue preoccupazioni sono per la madre che da poco è rimasta vedova e ha perso l’anziano padre. Per una donna sola, per di più così coraggiosa da essersi opposta alle nozze forzate per la figlia, la vita in Afghanista è difficilissima.
Per questo motivo Madina ha fatto richiesta di ricongiungimento familiare, per permettere alla madre di venire in Italia. La prefettura di Perugia ha già concesso il nullaosta, documento che poi serve al familiare che vuole fare ingresso in Italia per richiedere il visto all’Ambasciata italiana.
Ma la nostra rappresentanza a Kabul (dopo aver richiesto mole di documentazione) ha rifiutato la domanda di visto. Ora a Madina è rimasta solo una strada: rivolgersi al tribunale per ottenere giustizia. I tempi, purtroppo, sono drammaticamente lunghi: dalla richiesta di ricongiungimento familiare a oggi sono passati 17 mesi e l’udienza per il ricorso presentato in tribunale a Perugia contro il rifiuto del visto è stata fissata a fine maggio.

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