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“Il mio nome è Jummai, ma tutti mi chiamano Talatu, perché sono la primogenita. Prima che mi rapissero e mi portassero nella foresta, frequentavo la nona classe alla Secondary School di Duhu. La mia materia preferita è la matematica. Mi piace perché è logica. Una volta che hai capito la logica di una regola matematica puoi risolvere facilmente e in fretta qualsiasi esercizio”.
Talatu è stata rapita dai miliziani di Boko Harm assieme alla madre Sadiya e ad altre donne del suo villaggio. Sono rimaste per mesi nella foresta di Sambisa. Entrambe sono state date in sposa a due combattenti del califfato nero. “Fui data in moglie all’aiuto insegnante – racconta la ragazza – La cerimonia avvenne nella moschea, senza di me. Poi fui portata nel campo Cancello 2. Si trova in una zona più interna della foresta, mia madre mi mancava da morire. Ora non ricordo più che aspetto avesse l’uomo che era diventato mio marito. Non lo so più. Ho già dimenticato quasi tutto”.
Dopo essere riuscite a sfuggire dal campo di prigionia nella foresta di Sambisa, Talatu e sua madre sono tornate a vivere nel loro villaggio. Ma nulla è come prima. “Non c’è nessuno a proteggerci. E tanta gente ci guarda male”, spiega Talatu. Mentre Sadiya – che è rimasta incinta durante la prigionia – ha paura per figlio che porta in grembo: “Voglio avere questo bambino, non voglio abortire. I miliziani del gruppo di autodifesa del villaggio sono venuti a casa nostra e hanno detto che se sarà un maschio lo uccideranno”.
La loro storia assieme a quelle di altre decine di donne è raccolta nel libro “Le ragazze rapite. Boko Haram e il terrore nel cuore dell’Africa” scritto dal giornalista tedesco Wolfgang Bauer che ha trascorso diversi mesi nel nord della Nigeria, intervistando circa 60 donne e ragazze rapite dai miliziani del califfato nero.
Storie che è importante conoscere per comprendere quello che sta realmente accadendo nel Paese africano a tre anni di distanza dal rapimento delle 276 studentesse della scuola di Chibok. Un episodio drammatico che (anche grazie alla campagna mediatica #BringBackOurGirls) ha fatto conoscere a tutto il mondo Boko Haram.
“Boko Haram continua a rapire donne, ragazze e ragazzi che vengono spesso sottoposti a terribili violenze, tra cui stupri e pestaggi, e costretti a compiere attentati suicidi. Purtroppo, molti di questi rapimenti vengono ignorati dai mezzi d’informazione e questo fa sì che le famiglie perdano ogni speranza di riabbracciare i loro cari”, ha dichiarato Makmid Kamara, direttore ad interim di Amnesty International Nigeria. 
Dall’inizio del 2014, Amnesty Internatinal ha documentato almeno altro 41 casi di rapimenti di massa. Se da un lato il governo nigeriano sta facendo notevoli sforzi per liberare le 195 ragazze ancora nelle mani del gruppo armato, le vittime di sequestri di massa meno noti non beneficiano di altrettanto sostegno. Per questo motivo l’associazione chiede al governo maggiori sforzi per impedire ulteriori rapimenti e attentati, ma anche “per fornire sostegno adeguato a tutte le persone liberate o fuggite dalla prigionia”, ha sottolineato Kamara. 

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