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Durante i tanti anni di lavoro svolto per Terre des Hommes nei paesi dell’America latina ho purtroppo dovuto toccare con mano e affrontare spesso, troppo spesso, ciò che significa la violenza e l’abuso nei confronti di bambine e adolescenti che provengono da situazioni di vulnerabilità sociale. Mi sono scontrato con la dimensione terribile dell’offesa che uccide l´innocenza. Con lo spettro della sopraffazione. Ho assistito impotente all’ingiustizia che si concretizza sulle faccine rassegnate delle vittime, stringendo loro le mani mentre mi si stringeva il cuore quando le ascoltavo, in silenzio, raccontare il loro incontro con il male. In quei momenti il dolore uccide le parole e si rimane impietriti di fronte a tanto orrore. In quei momenti escono solo lacrime, nell’illusione che servano ad affogare l’angoscia che ti assale.
Le vittime sono bambine lasciate sole ancor prima di nascere da una società che le considera invisibili. Con frequenza le abbiamo accompagnate a fare la denuncia delle violenze di cui sono state vittime alla Polizia. Abbiamo visto come lì erano doppiamente umiliate e spesso non credute. Attendere settimane prima di potersi sottoporre a una visita medico legale che aumentava offese al pudore e ulteriori lesioni alla dignità. Abbiamo vissuto la realtà di famiglie che non avevano i soldi per pagare il trasporto dalla comunità al più vicino commissariato, non potevano pagare il tragitto per assistere al processo e nemmeno avevano il denaro sufficiente per fotocopiare i documenti da presentare in giudizio. Vittime e famiglie spesso sottoposte alla minaccia di ritorsioni da parte dei parenti, dei vicini di casa o di altri orchi accusati del reato, che continuavano indisturbati a vivere nella stessa strada, nel quartiere o nella comunità della vittima che permaneva nel terrore. Per questo – impotenti e nostro malgrado – abbiamo dovuto assistere a molte rinunce alla denuncia da parte di chi si è convinto che la giustizia non è uguale per tutti, quando la società ha deciso che tu sia vittima per forza.
Fortunatamente, in questa realtà terribile, abbiamo vissuto anche delle piccole grandi vittorie insieme a bambine e ragazze, eroine moderne, che sono riuscite a battere il mostro che le voleva vittime e perdenti per forza e per sempre.
È il caso ad esempio di Maritza, una ragazza oggi sedicenne originaria di una sperduta comunità nelle Ande intorno a Cusco, nata da una violenza sessuale vissuta dalla madre, a sua volta vittima di stupro da parte del patrigno quando aveva 9 anni. Accolta pochi mesi dopo i fatti dal Centro Yanapanakusun di Cusco, la casa di accoglienza per bambine vittime di violenza che Terre des hommes Italia sostiene grazie al programma Indifesa, dopo i primi mesi di forte sofferenza, grazie all’affetto e al sostegno psicologico e personale offerto dal Centro, Maritza ha iniziato ad ottenere risultati scolastici brillanti. È diventata una leader rappresentante degli studenti nella sua scuola e quest’anno farà la maturità con il massimo dei voti, grazie ai quali ha già vinto una borsa di studio per iscriversi gratuitamente all’Università.
Oppure la storia di Luisa, una ragazza che oggi ha 19 anni, violentata a 14 dal compagno della madre e accolta dal Centro Yanapanakusun quando ne aveva 16, che è stata capace di superare il trauma attraverso un processo che l’ha condotta a terminare la scuola superiore con ottimi risultati e oggi studia per diventare maestra.
E ancora Norma, violentata a 15 anni dal branco che si è poi dato alla fuga. Rimasta incinta non ha potuto abortire e ha partorito a 16, decidendo di rinunciare al bambino che rappresentava il ricordo terribile dello stupro. Accolta dal Centro Yanapanakusun, seguendo un percorso duro e sofferto di ricostruzione della propria dimensione umana, dopo poco più di un anno passato con le operatrici del Centro Norma ha deciso di accettare il figlio. Lo ha ripreso con sé ed è riuscita a ricostruire un percorso di vita insieme alla famiglia nella propria comunità di origine. Dove è stata accolta, insieme al bambino, con affetto e rispetto.
Maritza, Luisa, Norma e le altre bambine e ragazze che ho conosciuto in questi anni e che ce l´hanno fatta rappresentano il lato luminoso di uno specchio che purtroppo è ancora molto buio. Queste ragazze sono però i fari che ci permettono di dire che uscire dal tunnel è possibile. Che esiste forse una speranza in fondo al tunnel della violenza e dell’ingiustizia. Che davvero la luce un giorno potrà battere il buio, se con passione ed impegno coloro che non vogliono rimanere indifferenti – e quindi complici di fronte all’ingiustizia – agiscono insieme in difesa delle vittime e in favore di un mondo dove per tutti, anche per bambine come Maritza, Luisa e Norma esista il diritto ad essere felici. Il diritto a un mondo più giusto. Il diritto a sperare in un mondo più bello.
Mauro Morbello, delegato in Perù di Terre des Hommes Italia

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