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Zainab e la piccola Wahad non subiranno mai il “taglio”. Le due bambine vivono in Sudan, uno dei Paesi in cui le mutilazioni genitali si praticano nella loro forma più estrema e devastante per la salute della donna (la cosiddetta infibulazione). Zainab e Wahad sono salve per merito dei loro nonni: Ahmed Mohamed e sua moglie Khadijia che raccontano alla BBC la decisione coraggiosa e controcorrente di non mutilare le loro figlie. “Ci sono tante ragioni per non farlo: le donne muoiono durante l’intervento e la nostra religione non lo permette. Per questo motivo abbiamo deciso di non praticarla più. Mia moglie ha dovuto subire molte pressioni da parte degli altri abitanti del villaggio. Ma per fortuna ha resistito”. “I nostri vicini ci dicevano che se non avessimo praticato il taglio alle nostre figlie non avrebbero mai trovato marito”, ricorda Khadijia.
Sono passati quasi trent’anni da quella scelta coraggiosa e contagiosa: oggi nessuna bambina nel villaggio di Sheikh al Baseer viene più mutilata: la decisione di due sole persone, compiuta nell’interesse di proteggere la propria famiglia, ha avuto un effetto dirompente su tutto il villaggio.La storia del villaggio di Sheikh al Baseer, tuttavia, rappresenta una felice eccezione in un Paese dove l’87% delle donne e delle ragazze di età compresa tra i 15 e i 49 anni è stata mutilata. Le bambine vengono tagliate solitamente tra i 5 e i 9 anni e nella maggior parte dei casi sono costrette a subire la forma di mutilazione più estrema (infibulazione). I dati pubblicati dall’ong “28TooMany” (dal numero dei Paesi africani in cui il fenomeno delle mutilazioni è più diffuso) indicano una leggera diminuzione dell’incidenza delle Mgf tra le ragazze più giovani: 81% nella fascia d’età 15-19 anni a fronte del 92% tra le donne over 45. “Più della metà delle donne che conoscono il fenomeno delle mutilazioni genitali -sottolinea “28TooMany”- pensano che questa pratica debba terminare”.
Eliminare le mutilazioni genitali femminili entro il 2030 è uno dei target fissati dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile (“Raggiungere l’eguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”). Per ottenere questo importante obiettivo il governo inglese ha annunciato un investimento di 50 milioni di sterline che serviranno per finanziare programmi “dal basso” volti a contrastare la pratica e la diffusione del fenomeno.
Risorse che arrivano in un momento “critico” per le strategie di contrasto alle mutilazioni genitali femminili. Un fenomeno che oggi riguarda almeno 200 milioni di ragazze e di donne. Un numero che potrebbe crescere di altri 69 milioni entro i prossimi 12 anni se i trend attuali (uniti all’aumento demografico) continueranno.
Il Sudan sarà il principale beneficiario dei fondi promessi dal governo britannico (circa 15 milioni di sterline), dove i fondi permetteranno di ampliare il progetto “Saleema iniziative” -avviato nel 2008 dal National Council for child welfare e Unicef Sudan- che gestisce 263 “club” all’interno delle scuole dove le ragazze discutono sul tema delle mutilazioni genitali e dei loro diritti. Per sensibilizzare le giovani generazioni con l’obiettivo di fermare la diffusione di questo fenomeno tra le bambine della prossima generazione.

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