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Che donne saranno le bambine di oggi? Che professioni svolgeranno? Quali lotte dovranno ancora combattere? Le previsioni elaborate in questi anni da importanti organismi internazionali tratteggiano uno scenario ancora preoccupante: nonostante gli importanti risultati ottenuti negli ultimi decenni -ad esempio- nella lotta alle mutilazioni genitali femminili e ai matrimoni precoci, l’incremento demografico in alcune aree del mondo rischia di vanificare questi sforzi. Succede, ad esempio, nei Paesi dell’Africa sub-sahariana dove, se non si interverrà in maniera radicale, nel 2050 le spose bambine saranno più di 38 milioni (erano circa 17 milioni nel 2015).
Sette battaglie da combattere (e da vincere) affinché le bambine di oggi siano le donne -felici, realizzate e in salute- di domani.

Mandare a scuola tutte le bambine e le ragazze

Secondo le stime Unesco sono circa 130 milioni le bambine e le ragazze (dai 6 ai 17 anni) che ancora oggi non possono andare a scuola. Dare a tutte la possibilità di sedersi sui banchi permetterebbe di ridurre l’incidenza di matrimoni e gravidanze precoci, offrirebbe alle giovani donne più strumenti per prendersi cura di sé, dei propri figli e la possibilità di trovare un lavoro meglio retribuito. Secondo una stima della Banca Mondiale, una donna che ha completato la scuola primaria, ad esempio, può guadagnare dal 19 al 30% in più rispetto a una coetanea che non a mai potuto studiare. Mentre per una donna che ha completato la secondaria inferiore, il guadagno può arrivare al doppio.

Sradicare i matrimoni e gravidanze precoci

Secondo le stime di Unicef sono circa 12 milioni le bambine costrette a sposarsi ogni anno, molte di loro non hanno avuto la libertà di scegliere se sposarsi o meno. E non hanno avuto voce in capitolo nella scelta del proprio compagno. Inoltre, secondo le stime della Banca Mondiale, “se si raggiungesse l’istruzione secondaria universale il matrimonio precoce potrebbe essere virtualmente eliminato e le gravidanze precoci ridotte fino a tre quarti”. Nei Paesi in via di sviluppo, ogni anno, circa 21 milioni di ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni rimangono incinte. A queste si sommano altri 2 milioni di baby mamme con meno di 15 anni di età.

Garantire l’accesso ai contraccettivi alla pianificazione familiare

Si tratta di uno degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (3.7): assicurare a tutte le donne la possibilità di decidere quanti figli avere e quando lo desiderano. Secondo le stime delle Nazioni Unite sono almeno 12,8 milioni le adolescenti che chiedono di accedere a questo tipo di servizi, ma questa domanda non viene completamente soddisfatta, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Migliorare le condizioni di accesso ai servizi di salute riproduttiva e sessuale per le ragazze dai 15 ai 19 anni che già possono farlo e garantire lo stesso diritto a quelle che oggi ne sono escluse costerebbe circa 770 milioni di dollari l’anno. “Dare una risposta alle esigenze di queste ragazze permetterebbe di ridurre di 6 milioni l’anno il numero di gravidanze non volute in questa fascia d’età. Evitando 3,2 milioni di aborti e oltre 5.600 decessi causati dal parto”, calcola il Guttmacher Institute.

Eliminare le mutilazioni genitali

La pratica del “taglio” diffusa -in forme diverse- in vari Paesi africani, asiatici e del Medio Oriente riguarda circa 44 milioni di bambine e ragazze con meno di 15 anni. Non ci sono motivi medici che possano giustificare questo tipo di intervento, al contrario, l’Organizzazione mondiale per la sanità definisce le mutilazioni genitali femminili una “violazione dei diritti umani delle donne e delle bambine”. L’intervento, che spesso viene praticato da persone non specializzate e in condizioni igieniche carenti, può provocare una serie di complicazioni dolorose e rischiose per la vita delle bambine: infezioni, emorraggie anche letali, rischio di sviluppare cisti. Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) riconoscono che questa pratica rappresenta un concreto ostacolo verso la realizzazione di un mondo più equo, più giusto, più prospero

Fermare il cambiamento climatico

Non è un caso che tra i principali alfieri della battaglia contro i cambiamenti climatici ci sia un’adolescente: Greta Thunberg, 16 anni, ha lanciato lo sciopero della scuola per chiedere ai politici di agire senza indugio per contenere l’aumento delle temperature medie globali entro 1,5 gradi centigradi. “Ci state rubando il futuro”, ha detto a chiare lettere durante la Cop24 di Katowice, in Polonia. Una battaglia nata in solitaria e che oggi è diventato un movimento globale (#fridaysforfuture) e che il prossimo 15 marzo poterà in piazza bambini e ragazzi di tutto il mondo.
Una battaglia d’élite? Niente affatto. Perché a pagare il prezzo più alto per le conseguenze dei cambiamenti climatici sono -già oggi- i milioni di persone che vivono nei Paesi più poveri. La crescente siccità e la mancanza d’acqua impoveriscono ancora di più le fasce rurali della popolazione, aumentando la possibilità che le famiglie decidano di far sposare le proprie figlie ancora bambine; esondazioni e mareggiate che distruggono villaggi e costringono le famiglie ad abbandonare le proprie terre, esponendo le donne e in particolari quelle più giovani al rischio di sfruttamento lavorativo e violenza.

Combattere gli stereotipi a scuola

“I ragazzi sono più bravi in matematica” o “Ingegneria è una professione maschile”. Stereotipi diffusi, che non trovano alcun fondamento nella realtà, ma che continuano a pesare sulle carriere scolastiche di tante studentesse, talvolta anche più brave dei loro coetanei maschi nelle cosiddette materie STEM (acronimo inglese che sta per science, technology, engineering and mathematics) ma meno propense a intraprendere questo percorso di studi alle superiori o all’università. Il risultato: solo il 30% delle studentesse universitarie in Italia frequentano materie scientifiche. “La scarsa rappresentazione delle ragazze nell’istruzione scientifica, tecnologica, ingegneristica e matematica è profondamente radicata -sottolinea la direttrice dell’Unesco, Irina Bokova- e frena negativamente il progresso verso lo sviluppo sostenibile”. E non solo: esclude le giovani donne dalla possibilità di percorrere una carriera in settori dove c’è una domanda di lavoro più elevata e meglio retribuita.

Combattere il tabù delle mestruazioni (e abbassare l’iva sugli assorbenti)

Ci sono molte superstizioni legate alle mestruazioni: da quelle più innocue (non poter toccare le piante), fino a quelle più apertamente discriminatorie (non poter partecipare a un rito religioso o non poter consumare un determinato cibo), fino a quelle potenzialmente letali (come la pratica nepalese che costringe le donne a dormire fuori dalla casa di famiglia “in quei giorni”). Quella del ciclo è (anche) una questione prettamente economica: nei Paesi più poveri, donne e ragazze non possono permettersi di acquistare prodotti sanitari costosi e così, diverse ong hanno lanciato progetti per promuovere la produzione e l’uso di assorbenti ri-utilizzabili mentre alcuni governi (come quello keniota) hanno finanziato l’approvvigionamento gratuito alle studentesse.
Ma non si tratta di un fenomeno che riguarda solo il Sud del mondo: nell’agosto 2018 il governo scozzese ha lanciato un piano per fornire a 395mila ragazze prodotti sanitari di base (costo del programma 5,2 milioni di sterline). “Non è accettabile che in un Paese ricco come la scozia qualcuno faccia fatica a comprare questi prodotti -ha commentato il ministro per le Comunità, Aileen Campbell-. In questo modo le studentesse potranno concentrarsi soltanto sugli studi”. In Italia tamponi e assorbenti vengono tassati con l’IVA al 22% – quella per i beni di lusso – mentre i rasoi con i quali ragazzi e uomini si radono sono tassati al 4%. In molti paesi del mondo la “Tampon tax” è stata abbassata o addirittura annullata

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