foto (c)Unicef
In Sudan gli stupri di cui sono vittime donne e ragazze sono un fenomeno generalizzato. Nemmeno le bambine sono risparmiate dagli abusi e non sono mancati rapimenti ai danni di giovani donne, ridotte in schiavitù. A lanciare l’allarme è la Missione internazionale indipendente di inchiesta delle Nazioni Unite per il Sudan che a fine ottobre ha pubblicato un crudo rapporto sulle violenze compiute dai militari – in particolare dai paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) – ai danni della popolazione civile.
“La portata delle violenze sessuali che abbiamo documentato in Sudan è sconcertante”, ha dichiarato Mohamed Chande Othman, responsabile della missione d’inchiesta istituita alla fine del 2023 dal Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani per monitorare quello che succede nel Paese dove, da aprile 2023, è in corso una sanguinosa guerra civile tra l’esercito regolare e le Rsf. Un conflitto che ha innescato una gravissima crisi umanitaria: più di 25 milioni di persone, più della metà della popolazione, soffrono la fame in modo acuto.
Il rapporto ha monitorato centinaia di casi di stupro (spesso di gruppo) ai danni di donne di tutte le età: dagli 8 ai 75 anni. Ma non solo. I funzionari delle Nazioni Unite denunciano sequestri di donne e bambine che vengono trattenute in condizioni di “schiavitù sessuale”, matrimoni forzati e traffico di esseri umani a scopo sessuale attraverso le frontiere. Una brutalità che si è manifestata soprattutto nelle aree della capitale Khartoum nel Darfur – tristemente noto per le violenze etniche dei primi anni Duemila – e lo Stato di Gezira, dove la violenza ha assunto caratteristiche di punizione etnica, colpendo in particolare le donne e le ragazze delle comunità Masalit.
In Darfur il ritorno dei “diavoli a cavallo”
Le Forze di supporto rapido sono gli “eredi” dei Janjaweed, i famigerati “diavoli a cavallo” agli ordini del dittatore Omar al-Bashir che si resero responsabili di stupri ed episodi di pulizia etnica nel Darfur ai danni delle popolazioni locali. A vent’anni di distanza, nella tormentata regione sudanese, una storia tragica torna a ripetersi per mano del gruppo paramilitare in cui sono stati inglobati proprio gli ex “diavoli a cavallo”.
Le violenze ai danni donne e ragazze, denunciano le Nazioni Unite, vengono commesse “con particolare crudeltà”. Le vittime vengono selezionate su base etnica e spesso sottoposte a “pugni, percosse con bastoni e frustate, prima e durante lo stupro”, con violenze sessuali che spesso avvenivano in presenza dei parenti delle vittime.
Una donna di El Geneina, nel Darfur occidentale, ha raccontato che il suo stupratore l’ha minacciata con una pistola e le ha detto: “Faremo in modo che voi, ragazze Masalit (un gruppo etnico della regione, ndr) diate alla luce bambini arabi”. Un’altra donna ha riferito di essere stata tenuta prigioniera per otto mesi dagli uomini delle Rsf e di essere rimasta incinta a seguito dei ripetuti stupri.
A fine ottobre i miliziani delle Rsf hanno attaccato una trentina di villaggi e città nello Stato di Gezira, nel Sud-Est del Paese, costringendo più di 130mila persone a fuggire e causando centinaia di morti tra i civili.
Durante questi attacchi, diverse donne e ragazze sono state violentate.
La Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa, un gruppo impegnato nella tutela dei diritti delle donne nella regione, ha documentato 25 casi di violenze sessuali e stupro di gruppo da parte delle Rsf, tra cui dieci ragazze. E in almeno sei casi, le sopravvissute si sono tolte la vita.
Secondo le stime del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unpfa) le persone a rischio di violenza di genere in Sudan sono circa 6,7 milioni: donne e ragazze sfollate, rifugiate e migranti sono tra quelle più vulnerabili.
Per loro, trovare protezione e assistenza è praticamente impossibile in un contesto in cui il conflitto ha distrutto o gravemente danneggiato la maggior parte dei centri sanitari, mentre quelli che ancora resistono faticano a operare a causa della carenza di personale, medicinali e forniture.
Una guerra combattuta sul corpo delle donne
Quella che colpisce il Sudan è la più grave crisi internazionale in atto: più di dieci milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro case, di questi circa tre milioni sono profughi nei Paesi limitrofi, in particolare il Chad.
I morti tra i civili sono stati più di 19mila e i feriti oltre 33mila.
L’insicurezza e le ingerenze delle parti in conflitto rendono particolarmente difficile il lavoro delle organizzazioni umanitarie: di nuovo, sono soprattutto le Forze di supporto rapido a bloccare il flusso degli aiuti umanitari nelle aree sotto il loro controllo.
“La guerra è stata combattuta sul corpo delle donne e delle ragazze sotto forma di stupri, matrimoni forzati, traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e prostituzione forzata“, denuncia la Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa. “La stragrande maggioranza di questi casi è attribuibile alle Rsf. Tuttavia, anche le Forze armate sudanesi (SAF) non sono esenti da colpe e sono responsabili di alcuni casi di sfruttamento sessuale”.