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In Swaziland -uno dei più piccoli Stati africani- un adulto su cinque è positivo al virus dell’Hiv. In base ai dati del Programma delle Nazioni Unite per la prevenzione dell’Aids (Unfpa) il 28% degli abitanti del Paese (15-49 anni) è affetta dal virus. Sarebbero circa 200mila gli adulti che convivono con questa terribile malattia, più della metà (circa 130mila) sono donne. Solo nel 2016 sono state registrate quasi 10mila nuove infezioni e 3mila morti per malattie collegate all’Aids.
Malgrado questa situazione allarmante, l’accesso all’informazione e ai servizi di prevenzione e di tutela della salute resta molto difficile. Soprattutto per le giovani donne. Takhona ha 17 anni, viene da una delle regioni più povere dello Swaziland. Non sapeva nulla dell’Hiv né delle altre malattie sessualmente trasmissibili. “Pensavo che il sesso fosse solo una cosa bella. Non pensavo potessero esserci conseguenze”, spiega la ragazza intervistata da Unfpa, l’agenzia delle Nazioni Unite per la popolazione.
Ma non è l’unica a trovarsi in questa situazione. I pochi servizi di prevenzione presenti in Swaziland non fanno nulla per accogliere i più giovani né li incoraggiano a seguire corsi di educazione sessuale. Una situazione resa ancora più difficile dall’elevato livello di violenza nel Paese: un vecchio studio del 2007 evidenzia come un terzo delle donne e delle ragazze abbia subito abusi prima dei 18 anni.
“Se fossi rimasta incinta il bambino sarebbe stato molto povero –dice Takhona-. I bambini poveri si ammalano più facilmente e il mio futuro sarebbe stato rovinato perché non avrei potuto andare a scuola. Senza educazione non puoi fare nulla”. Inoltre, Takhona ha iniziato a parlare con i suoi amici e con i suoi compagni di classe, con i membri della sua comunità, spiegando loro quali sono i rischi dell’Hiv. “Mia madre crede che l’Hiv sia curabile. Crede che dare la mano a un sieropositivo o usare lo stesso bagno possa trasmettere il contagio -spiga la ragazza-. Ho cercato di spiegarle la realtà delle cose”.
Investire sulle giovani donne, formarle ed educarle rappresenta l’arma più efficace per prevenire i contagi. In Swaziland e non solo. Le ragazze, infatti, sono uno dei pilastri della nuova strategia globale di prevenzione della diffusione dell’Hiv (Hiv prevention 2020 Roadmap) presentata in questi giorni a Ginevra da Unaids e dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa). L’obiettivo -ambizioso- è quello di ridurre le nuove infezioni del 75% entro il 2020.
Sebbene siano stati fatti grandi passi avanti nella riduzione delle morti causate dall’Aids (con un calo del 50% dal picco dell’epidemia), il declino delle nuove infezioni tra gli adulti è in ritardo. Dal 2010 si è registrato un calo del 47% delle nuove infezioni tra i bambini, mentre le nuove infezioni tra gli adulti sono diminuite solo dell’11%.
“L’aumento delle cure a disposizione non metterà fine all’Aids”, ha dichiarato Michel Sidibé, Direttore Esecutivo dell’Unaids. Servono invece “più energia e azione per la prevenzione dell’ HIV, una leadership più forte, maggiori investimenti e impegno comunitario per garantire che tutti, in particolare le persone a più alto rischio di HIV, possano proteggersi dal virus”.Tra le categorie maggiormente esposte al rischio di contrarre il virus ci sono le adolescenti. Per questo motivo occorre investire su di loro. “In molti luoghi, la mancanza di accesso all’ istruzione, l’assenza di servizi e la mancanza di autonomia sul proprio corpo impediscono alle adolescenti di rivendicare i propri diritti”, spiega Natalia Kanem, direttore esecutivo di Unfpa in Swaziland. “Questa mancanza di consapevolezza e di forza le rende ciascuna di queste ragazze estremamente vulnerabili alle infezioni da Hiv, alle malattie sessualmente trasmissibili e alle gravidanze indesiderate”.

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