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In un Paese segnato da decenni di violenza e da una grave crisi sociale come la Somalia gli stupri – purtroppo – non fanno notizia. Nemmeno se le vittime sono due ragazzine di appena 14 e 16 anni. Solitamente, agli autori di queste violenze restano impuntiti e le vittime non solo non ottengono giustizia, ma vengono ulteriormente umiliate: costrette ad accettare una qualche forma di riparazione (solitamente alcuni cammelli o provviste di cibo) oltre all’obbligo di sposare l’uomo che ha abusato di loro.
Una tradizione centenaria che però, per la prima volta, si è incrinata. Lo scorso dicembre, un gruppo di sei ragazzi ha aggredito due ragazzine di 14 e 16 anni: le hanno rapite, portate lontano dalla città dove le due giovani sono state picchiate e violentate dal branco. Che ha filmato la scena coi telefonini e scattato foto, poi condivise su internet e sui social network.
Quelle immagini così brutali hanno profondamente scosso i somali e sollevato un’ondata di solidarietà attorno alle due ragazze. Che si è anche tradotta nella raccolta di circa 11mila dollari in donazioni: soldi che serviranno alle ragazze per rifarsi una vita altrove dal momento che sono state costrette a lasciare il proprio villaggio per non essere ostracizzate.
Inizialmente, gli anziani dei clan avevano proposto il pagamento di 100 cammelli alle famiglie delle ragazze a titolo di risarcimento. Ma questa volta non è bastato. “Abbiamo impedito agli anziani di intervenire. Porteremo a processo i sei accusati per aver violentato le ragazze e dovranno affrontare una pena severa“, spiega Mohamed Ali Farrah, direttore del ministero di Giustizia del Puntland (uno degli stati non riconosciuti dalla comunità internazionale sorto sulle macerie della Somalia dilaniata da oltre vent’anni di conflitti) in un’intervista rilasciata alla Thomson Reuters Foundation che ha diffuso la vicenda. Il Puntland, infatti, nel 2015 ha approvato una legge sulle violenze sessuali che introduce una pena minima di 15 anni in caso di stupro e che prevede anche assistenza medica e legale per le vittime. “Ora è tempo di tradurre nel concreto la legge e il governo deve dimostrare che intende fare sul serio per contrastare le violenze sessuali”, commenta Faiza Jama Mohamed, capo dell’ufficio di Nairobi dell’associazione “Equality Now“.

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