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Per mettere la parola “fine” alla pratica delle mutilazioni genitali femminili (MGF) è necessario che tutti facciano la propria parte. “Questa battaglia non è una responsabilità solo delle donne e delle ragazze, o delle ONG, o degli attivisti. No. Dobbiamo agire assieme, come società. E agli uomini dico: è ora di far sentire la nostra voce. Se restiamo in silenzio le donne penseranno che noi vogliamo che la pratica delle mutilazioni genitali continui. E di conseguenza le bambine e le ragazze continueranno a soffrire. Quindi è arrivato il momento di alzare la voce”.
Tony Mwebia è un giovane attivista kenyano, che nel 2013 ha dato vita alla campagna online “#MenEndFGM” (“Gli uomini mettono fine alle mutilazioni genitali femminili”) in un Paese dove circa quattro milioni di donne e ragazze hanno subito il taglio dei genitali. Sebbene la pratica sia in diminuzione rispetto al passato, ancora oggi riguarda il 21% delle donne e delle ragazze nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 49anni.

Il Kenya dice “no” alle mutilazioni genitali

La pratica del “taglio” si concentra soprattutto nelle regioni del Nord-Est del Kenya. Un rapporto di Unicef sottolinea come le ragazze più a rischio siano quelle che vivono nelle aree rurali, appartenenti ai ceti più poveri e meno istruiti. C’è poi un ulteriore elemento da tenere in considerazione: mentre il fenomeno è praticamene assente in alcuni gruppi etnici, in altri la pratica delle mutilazioni genitali è profondamente radicata. Arriva al 94% tra le donne e le ragazze (15-49 anni) somale, all’89% tra i samburu, all’84% tra i Kisii e al 78% tra i massai.
Oltre a essere vietate per legge dal 2011, in Kenya c’è un comune consenso attorno al fatto che le mutilazioni genitali femminili devono essere interrotte. Non solo tra le donne (il 92% del totale) ma anche tra gli uomini. Sia tra gli adulti (l’86% nella fascia d’età tra i 45 4 i 49 anni) sia tra i più giovani: il 91% dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni pensa che questa pratica debba finire. Si tratta di un elemento importante anche se- come sottolinea il report di Unicef- la contrarietà a questa pratica è più comune tra i gruppo che non la praticano.

Obiettivi di sviluppo sostenibile, uno sprint entro il 2030

Il quinto Obiettivo di sviluppo sostenibile (Parità di genere) fissa come target l’eliminazione della violenza e delle discriminazioni di genere a danno delle donne incluse “le pratiche tradizionali lesive, come i matrimoni precoci e le mutilazioni genitali femminili” entro il 2030. Quella che abbiamo davanti non è una maratona, ma uno sprint: “Se dobbiamo raggiungere questo obiettivo in dieci anni dobbiamo usare tutti gli strumenti a nostra disposizione e pensare a nuove tattiche. Quindi, coinvolgiamo gli uomini!”, ci ha detto Tony Mwebia in un’intervista via Skype alcuni giorni fa.

Tony Mwebia (a sinistra) durante una trasmissione radiofonica. Ai microfoni con lui due "male champion" formati nella contea di Isiolo (© MenEndFGM)

Tony Mwebia (a sinistra) durante una trasmissione radiofonica. Ai microfoni con lui due “male champion” formati nella contea di Isiolo (© MenEndFGM)


Nel 2019 “#MenEndFGM” è diventata un’organizzazione con sede a Nairobi e operatori impegnati in diverse aree del Paese per formare quelli che Tony Mwebia definisce male champion all’interno delle comunità che praticano mutilazioni genitali a bambine e ragazze. Uomini che hanno un ruolo di rilievo (insegnanti, leader anziani, attivisti..) che, al termine di un percorso di formazione, potranno svolgere con maggiore efficacia e consapevolezza un ruolo di sensibilizzazione. A oggi il progetto “Men Ends FGM” ha formato direttamente circa 450 “campioni” che operano direttamente nelle comunità. A questi si aggiungono le decine di migliaia di uomini e ragazzi che sono stati coinvolti dalle campagne promosse sui social, sui canali televisivi e in radio.
La prima cosa da fare, secondo Tony Mwebia è cambiare la mentalità e il sentire comune degli uomini: “Credono che le ragazze che hanno subito mutilazioni genitali potranno attrarre una dote più cospicua, sotto forma di capi di bestiame. Dobbiamo cambiare la mentalità secondo cui le ragazze che hanno subito mutilazioni genitali femminili sono più attraenti, belle, ben educate, fedeli e rispettose”.
Il secondo step è superare l’idea che quello delle mutilazioni genitali sia un tema esclusivamente femminile: “È vero, sono le donne a effettuare il ‘taglio’. E spesso gli uomini non hanno nemmeno idea di cosa sia esattamente. Ma il ‘taglio” viene praticato perché in alcuni gruppi c’è una forte pressione sociale in tal senso: si sottopongono le ragazze a questa procedura perché si pensa che solo così potranno sposarsi”.
Per questo motivo, “non coinvolgere gli uomini nella lotta contro le mutilazioni genitali è come affrontare i sintomi di una malattia ignorando però la malattia stessa”, sottolinea Tony Mwebia. Che usa un’espressione particolare per definire gli uomini in questo contesto: “utilizzatore finale” (“Con le virgolette, mi raccomando”, puntualizza). Madri, nonne e zie sottopongono le proprie figlie e nipoti al “taglio” convinte che questo sia un pre-requisito essenziale per trovare un buon marito e soddisfarlo. “Ma gli uomini non capiscono il dolore provocato da questa pratica, non sanno quali sono le conseguenze per la salute della donna -dice Tony Mwebia-. Gli uomini devono dire, ad alte voce, che non vogliono sposare donne mutilate”.

Perché gli uomini devono dire “no” alle mutilazioni genitali

Per innescare il cambiamento all’interno delle comunità, lo strumento scelto da #MenEndFGM è quello di rendere consapevoli gli uomini di quello che avviene durante il rito e di quelle che sono le conseguenze del “taglio” sulla salute e il benessere delle donne.
“Il mese scorso abbiamo fatto un corso di formazione per 25 uomini nella contea di Meru -spiega Tony- abbiamo fatto vedere loro un video molto duro che mostra la pratica della mutilazione. Un uomo non ha potuto sostenerne la vista ed è uscito. Più tardi ci ha detto di avere una figlia di cinque anni. Gli uomini non sono completamente consapevoli di quello che significa praticare una mutilazione genitale a una bambina. Ogni volta che mostriamo questo video, anche nelle comunità più restie, la discussione cambia completamente. Perché mostra tutta la sofferenza e il dolore che loro ignorano”.

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