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A soli 18 anni, Fatima Sultani è diventata la più giovane scalatrice a raggiungere la cima del Noshakh che, con i suoi 7.492 metri, è la montagna più alta dell’Afghanistan, la seconda vetta del massiccio dell’Hindu Kush, la catena montuosa che corre tra Afghanistan e Pakistan. Fatima faceva parte di un team di nove giovani alpinisti afghani (di cui tre donne) che il 6 agosto 2020 ha raggiunto la vetta dell’imponente Noshakh. Per decenni la vetta è rimasta inaccessibile agli scalatori stranieri, a causa delle guerre che da oltre quarant’anni insanguinano l’Afghanistan. Oggi, gli unici a scalare il Noshakh sono i (pochi) sportivi afghani, tra cui molte giovani donne.
Per Fatima, il Noshakh non è un punto d’arrivo. Assieme ai suoi compagni di squadra si sta allenando per raggiungere la vetta del monte Mir Samir con un obiettivo ancora più ambizioso in mente: la vetta del Monte Everest per diventare la prima donna afghana a scalare la montagna più alta del mondo. “Il mio obiettivo principale è mostrare al mondo che le donne afghane sono forti e possono affrontare le stesse sfide degli uomini -ha spiegato Fatima in un’intervista all’agenzia Reuters-. Quando ho scoperto che le donne di altri Paesi vengono qui per scalare le vette più alte ho pensato… perché non possono farlo le donne afghane?”

I talebani e le incognite sul futuro

L’alta montagna rappresenta un ambiente complesso e non privo di rischi. Ma in questo momento la preoccupazione più grande di Fatima non riguarda le vette da scalare, ma il futuro del suo Paese. A settembre, a Doha si sono aperti i colloqui di pace intra-afghani tra il governo di Kabul e i rappresentanti dei leader talebani. Il timore di molti è che i talebani possano tornare al potere e riportare in vigore un sistema che esclude le donne dalla vita pubblica, costringendole a rinunciare all’istruzione, all’accesso al mondo del lavoro, allo sport e ai diritti più basilari. Nei mesi scorsi, i leader talebani hanno più volte rassicurato i propri interlocutori occidentali e afghani (in particolare le associazioni impegnate per la tutela dei diritti delle donne), ma le loro parole non sono suonate particolarmente convincenti.
Fatima è un’atleta appassionata, prima di dedicarsi all’alpinismo, per sette anni ha fatto parte della squadra nazionale afghana di Ju-Jitsu, un’arte marziale di origine giapponese. “Quando ho iniziato a fare sport, sapevo che avrei potuto avere dei problemi. Uno dei temi era, ad esempio, la possibilità che i talebani ostacolassero l’attività sportiva per le donne. Ma sono pronta ad accettare la sfida“, dice Fatima. La ragazza -che vive a Kabul con la sua famiglia- può fare affidamento anche sul supporto del padre che, tuttavia, non nasconde i timori per la sicurezza della figlia. “Sono preoccupato perché i talebani sono contrari al fatto che le ragazze pratichino sport -ha spiegato l’uomo alla Reuters. Ma ho detto a Fatima che lei è libera di fare qualsiasi attività le piaccia, compreso l’alpinismo, e io continuerò a sostenerla per quanto mi è possibile”.

Hanifa, una sposa bambina in fuga

Due anni prima di Fatima, Hanifa Yousoufi era stata la prima donna afghana a raggiungere la vetta del Noshakh a poco più di 23 anni. Punto d’arrivo di una storia di rinascita e di riscatto. Hanifa è nata in una povera famiglia di Kabul. Ultima di sei sorelle e due fratelli non ha potuto andare a scuola e non ha mai imparato a leggere. Durante la sua infanzia, Hanifa non ha vissuto molti momenti felici: la sua famiglia non ha mai festeggiato il suo compleanno e lei stessa non conosce con precisione la propria età. Ad appena 14 anni è stata costretta a sposare un uomo più anziano di lei e si è trasferita in Pakistan. “Le altre bambine della famiglia di mio marito andavano a scuola. Io ero come una schiava: cucinavo e pulivo”, ha raccontato in un lungo articolo pubblicato su un sito specializzato.
Due anni dopo le nozza, però, Hanifa ha deciso di riprendere in mano la propria vita: ha lasciato il marito ed è tornata a Kabul dove la sua famiglia l’ha accolta nuovamente: un fatto non scontato se si pensa che molte ragazze in fuga dai mariti vengono ripudiate dai propri genitori, abbandonate e talvolta persino uccise per aver gettato “disonore” sulla propria famiglia. Ma la vita, per lei, non è stata comunque facile: per tre anni Hanifa non è uscita di casa: “Pensavo che le persone parlassero alle mie spalle, non volevo andare da nessuna parte”.

Hanifa Yousoufi sventola la bandiera afghana in cima al monte Noshaq, quota 7.492 metri © Ascend

Hanifa Yousoufi sventola la bandiera afghana in cima al monte Noshaq © Ascend

La montagna e la rinascita

La rinascita per Hanifa è arrivata dall’incontro con “Ascend: leadership through Athletics“, un’associazione statunitense fondata nel 2014 che promuove l’empowerment femminile attraverso la pratica dell’alpinismo. Ogni anno “Ascend” recluta un nuovo gruppo di ragazze afghane di età compresa tra i 15 e i 24 anni per coinvolgerle in un programma biennale di alpinismo il cui obiettivo è formare la prossima generazione di giovani leader donne. Il programma di Ascend prevede sei giorni di formazione a settimana: allenamento fisico e preparazione alle attività in alta montagna (come orientamento e arrampicata) ma anche sessioni di team building e progetti a servizio della comunità. Le sfide dell’alpinismo, la capacità di costruire gruppi capaci di lavorare in sintonia, il coraggio di affrontare un’arrampicata su una parete verticale aiutano le ragazze di “Ascend” ad avere maggiore fiducia in sé stesse. Al tempo stesso, a tutte le ragazze viene assicurata la possibilità di proseguire gli studi.
Per le giovani afghane la montagna non rappresenta una sfida semplice. Molte non hanno mai fatto attività fisica prima di aderire ai programmi di “Ascend”. Del resto, in Afghanistan è considerato sconveniente per una ragazza fare sport. Anche allenarsi all’aperto è difficile, perché bisogna fare i conti con problemi legati alla sicurezza e a possibili attacchi da parte di estremisti o di semplici persone che giudicano “non adatta” alle ragazze l’attività sportiva.
Grazie ad “Ascend”, oggi Hanifa cammina a testa alta e ignora le critiche di chi le dice che dovrebbe lasciar perdere la montagna e pensare piuttosto a sposarsi di nuovo. Oltre ad arrampicare, Hanifa si occupa di insegnare alle nuove arrivate i segreti dell’alpinismo e ha trovato un nuovo motivo per vivere: “All’improvviso ho avuto una speranza per la mia vita”.

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