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Via la frase “baby squillo” dalle pagine dei giornali e dai titoli dei tg. Perché le “baby squillo” non esistono. Esistono invece le bambine (che devono sempre essere tutelate) ed esistono i pedofili che ne abusano.
La richiesta all’Ordine nazionale dei giornalisti arriva da una petizione lanciata online sulla piattaforma Change.org in cui si chiede ai professionisti dell’informazione di adottare “una forma di autoregolamentazione per la moratoria su stampa e media di questo termine”.
“Non esistono le baby squillo, non decidono autonomamente di fare sesso con adulti. Ma viceversa. Come non esistono le baby kamikaze, non decidono autonomamente di andarsi a far esplodere, sono adulti che lo decidono per loro”, si legge nel testo della petizione, che in pochi giorni ha raccolto quasi 25mila firme.
A lanciare questa iniziativa è stata Mila Spicola, insegnante: “Ero rimasta molto colpita dalla vicenda di alcune ragazzine dei Parioli coinvolte in un giro di sesso a pagamento – spiega -. Recentemente, una vicenda simile si sta verificando in Sicilia”. Oggi come allora, il titolo ricorrente sui giornali e nei notiziari ammicca alle “baby squillo” piuttosto che ai clienti pedofili. “La legge parla chiaro – taglia corso Mila Spicola – queste ragazzine sono vittime. E in quanto tali vanno tutelate e non stigmatizzate. Ma fino a quando i media continueranno a usare questi termini, passa il messaggio che la ragazza è, in qualche modo, responsabile per quello che ha subito”.
Una petizione analoga, lanciata negli Stati Uniti da un’ex bambina coinvolta in una vicenda simile, ha ottenuto un’importante risultato. L’Associated Press – la più importante agenzia di stampa americana – ha annunciato lo scorso 6 aprile che non userà più il termine “child prostitute”. Segno evidente, che un cambiamento di lessico è possibile senza rinunciare alla completezza e all’accuratezza dell’informazione.
I giornalisti e i collaboratori dell’AP, infatti, devono seguire le guide stilistiche e di vocabolario dettate da una guida interna estremamente dettagliata. 
AP raccomanda di evitare l’uso della parola “prostituta” quando è coinvolta una bambina, così come “baby prostituta” o “prostituta adolescente” perché “questo implica che la bambina sta volontariamente vendendo sesso in cambio di soldi“.
Un modello cui i media italiani dovrebbero guardare. Perché la tutela dei diritti delle bambine vale ben più di un click su un titolo accattivante.

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