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Usare le bicicletta per le strade del Cairo non è facile, soprattutto se sei una ragazza. Il traffico intenso non è certo l’unico elemento preoccupante, perché pedalare per le strade della propria città viene ancora considerato “socialmente inaccettabile” da molti uomini. E il rischio di subire molestie sessuali è concreto.
“Ma non è sempre stato così”, spiega Haider Sami, portavoce dell’associazione “Go Bike”, un piccolo gruppo di coraggiosi idealisti che sogna di rendere (il più possibile) a misura di bici la megalopoli egiziana. A partire dal diritto per le ragazze di pedalare in sicurezza. “Negli anni Sessanta le donne andavano tranquillamente in bicicletta – spiega Haider Sami – è solo una questione di cultura. Dovrebbe essere normale, per una ragazza andare in bicicletta e non essere molestata per strada”.
Le ragazze, in Egitto, sono stanche di essere discriminate. E reclamano il diritto a pedalare in sicurezza. Come Israa Fayed, 15 anni: va in bici da quando ne aveva 5, non ha mai abbandonato la sua passione, ma ammette che ogni giorno deve affrontare sempre più spesso molestie e offese per le strade di Port Said.
Per ribaltare la situazione, il gruppo di attivisti “There is no difference” ha organizzato una critical mass per le strade di Port Said. L’obiettivo: protestare contro il traffico ma anche contro le crescenti molestie che le ragazze sono costrette a subire quando salgono in sella a una bici (ma anche quando salgono sul taxi o su un autobus). “Vogliamo che le ragazze si sentano al sicuro pedalando in bicicletta- spiega Israa – Vogliamo l’uguaglianza con gli uomini, anche in sella a una bici”.

Non solo in Egitto

L’Egitto non è il solo Paese dove l’eguaglianza a pedali stenta ad affermarsi. Marina Jaber, 25enne musulmana, ha sfidato le convenzioni pedalando per le strade di Baghdad. “Il mio obiettivo non è solo quello di andare in bicicletta – spiega –. Ma andare in bicicletta per rompere lo status quo della società irachena. In passato ero solita biasimare la società per molte cose che non potevo fare in quanto donna. Ora ho capito: la società sono io”.
Per questo Marina si è fatta coraggio e ha deciso di essere parte attiva del cambiamento: ha inforcato la bici e ha iniziato a pedalare per le strade della città. Le foto che la immortalano in sella alla sua bici sono finite su Facebook attirando molta attenzione su di lei. “All’inizio ero spaventata – spiega – ho iniziato nei quartieri più tranquilli, la gente mi fissava”. Ma quando ha iniziato a spostarsi verso quartieri più conservatori le cose sono cambiate: “Hanno iniziato a spingermi per farmi cadere, mi hanno urlato male parole”. Ma Marina non ha rinunciato: “Come posso pensare che le ragazze possano ribellarsi contro questa società e pretendere i loro diritti più elementari se non ho il coraggio di salire in bicicletta?”.

Tamara

Nelle mani di una ragazza, una bicicletta può fare la differenza. E cambiare radicalmente il corso di una vita. Tamara è orfana, vive in un villaggio in Zambia e per lei andare a scuola era molto complicato a causa della distanza: ogni giorno doveva fare 4 chilometri a piedi per raggiungere la scuola. Il tutto dopo aver cucinato per i fratellini, aver spazzato, lavato i piatti ed essere andata a prender l’acqua al pozzo. Per questo motivo Tamara saltava spesso le lezioni. Nel luglio 2014, grazie al progetto “World Bicycle Relief” Tamara ha ricevuto una bicicletta, da quel momento la sua vita è cambiata. “Ora può andare a scuola tutti i giorni, ed è felice”, racconta lo zio.
Dare ai bambini (e in modo particolare alle femmine) una bicicletta significa offrire loro la possibilità di cambiare i corso della propria vita. Mandare le bambine a scuola, metterle nelle condizioni di restare a scuola il più a lungo possibile, spezzando così il circolo della povertà. Tra il 2009 e il 2015, più di 100mila bambini hanno ricevuto una bici da “World Bicycle Relief”. In questo modo, secondo le stime dell’associazione, il tasso di frequenza scolastica è aumentato del 28%.

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