Perdere un genitore in tenera età è un trauma terribile per chiunque, ma perderlo a seguito della violenza attuata dall’altro genitore, è qualcosa che non si può descrivere. «…Quando diventi orfana così, il dolore ti spezza le gambe, e l’aria infinita che vola ovunque sembra non esserci più per te…» (Alessia)
E’ dalle parole di Alessia che prende il nome il progetto RE.S.P.I.R.O (REte di Sostegno per Percorsi di Inclusione e Resilienza con gli Orfani speciali), un’azione multidimensionale, articolata tra 13 partners in sei regioni italiane, con l’obiettivo di ridare respiro – e vita – agli orfani di femminicidio.
È stimato che in Italia dal 2000 al 2014 siano stati 1.600 i nuovi casi di orfani che hanno perso la madre per mano del marito o compagno poi suicida o in carcere. Alcuni, purtroppo, anche molto recenti. Gli “orfani speciali”, secondo la definizione di Costanza Baldry, autrice della prima ricerca sul fenomeno, sono orfani due volte. Hanno perso la mamma e il papà, e anche la loro capacità di sognare una vita normale e felice.
“Diventare orfano in questo modo ha un impatto psicologico devastante sul bambino, che si riflette inevitabilmente nella sua sfera relazionale e scolastica. A questo si sommano le questioni giuridiche e gli aspetti legali, e spesso anche problemi economici” spiega Fedele Salvatore, presidente della cooperativa sociale Irene ’95 di Marigliano (NA) capofila del progetto RE.S.P.I.R.O.
“Tutti i partners del progetto si occupano da tempo di maltrattamento sui minori, all’interno della rete CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia)” continua Fedele “Oggi gli strumenti normativi ci sono, ma intorno all’orfano speciale interagiscono tantissime competenze diverse, spesso in modo molto frammentato, senza una reale comunicazione tra i diversi servizi”
Per questo il primo obiettivo del progetto RE.S.P.I.R.O. è “creare sistema” “ Prenderci cura del singolo e allo stesso tempo della sua rete di prossimità, sperimentando un modello che crei un raccordo stabile tra i diversi servizi e al termine del progetto esca dal livello sperimentale e diventi ciò che lo Stato mette in campo automaticamente ogni volta che viene uccisa una donna con figli»
Una ricerca qualitativa condotta in Italia nell’ambito del progetto “Switch off”, realizzato dal Dipartimento di Psicologia della Seconda Università degli Studi di Napoli, in collaborazione con 4 università europee e la rete nazionale dei centri antiviolenza, ha permesso di analizzare nel dettaglio 71 casi di femminicidio, per un totale di 142 orfani speciali.
Al momento dell’evento mortale, più dell’85% delle coppie aveva a carico un figlio, con età media di 10 anni; nell’80% dei casi gli orfani avevano già assistito alle violenze contro la madre; nel 77% dei casi erano presenti durante l’omicidio, ascoltando ciò che accadeva oppure osservandolo con i propri occhi. La maggioranza dei bambini e delle bambine sono stati affidati alla famiglia materna e solo in misura residuale ai servizi sociali o alla famiglia paterna. Ma solo il 6,3% degli orfani speciali ha ricevuto sia un sostegno psicologico che un aiuto economico e, dato ancor più grave, oltre il 31% non ha avuto accesso ad alcun tipo di supporto.
“Dopo l’emozione e l’enfasi mediatica che accompagna in un primo momento questi eventi drammatici” continua Fedele Salvatore “molto spesso gli orfani tornano a essere invisibili. Con il progetto sosteniamo reti locali di prossimità, che vadano al di là dei servizi sociali specifici e coinvolgano gli insegnanti, i genitori dei compagni, gli allenatori sportivi, l’oratorio… condividendo con loro le modalità per riaccogliere il bambino dopo l’evento tragico e le strategie psicoeducative”
Nel concreto il progetto lavora su quattro macro aree: presa in carico dei minori orfani, sostegno alle famiglie affidatarie, formazione degli operatori, prevenzione e sensibilizzazione.
Immediatamente a seguito del fatto drammatico è attivata una équipe multisciplinare di emergenza che, in raccordo con i servizi sociali si occupa della comunicazione della notizia al minorenne, della preparazione alla partecipazione al rito funebre, dell’accompagnamento al ripristino delle routine, con particolare attenzione al rientro a scuola e negli altri contesti di vita, fino al percorso di assistenza psicologica e di elaborazione della perdita. Il modello è quello già sperimentato con successo dal “Progetto Giada” dell’Azienda Ospedaliera Giovanni XXIII di Bari, uno dei 13 partner di RE.S.P.I.R.O.
A questo si aggiunge un “tutore di resilienza” che lavora all’orientamento e all’assistenza legale nonché alla consulenza nella fase di affidamento a parenti o ad una comunità residenziale. L’attivazione delle reti di prossimità e la creazione di un piano educativo personalizzato sono gli altri elementi centrali della presa in carico del minore.
Ma tassello imprescindibile per permettere agli orfani di ricostruirsi una vita è anche il sostegno alle famiglie affidatarie. Il progetto predispone perciò un servizio di consulenza nelle primissime fasi dell’affidamento, la costituzione di gruppi di mutuo aiuto e la realizzazione di percorsi terapeutici individuali e di gruppo.
Senza trascurare la prevenzione: per questo sono previsti 400 laboratori nelle scuole con la specifica finalità di promuovere e attivare competenze sulla capacità di chiedere aiuto in situazioni di difficoltà, violenza, maltrattamento, abuso…nonché percorsi educativi, orientati a ragazzi/e ed adolescenti per l’esplorazione, l’identificazione e alla messa in discussione degli stereotipi di genere e dei meccanismi socio-culturali di minimizzazione e razionalizzazione della violenza.
Infine altra importante specificità di RE.S.P.I.R.O. è l’elaborazione di moduli formativi sulle conseguenze da trauma per tutte le categorie di soggetti che interagiscono con gli orfani
“Troppo spesso sembra che i bambini non dimostrino particolari traumi nell’immediato e le persone a loro vicine tendono a sottovalutare” spiega ancora Fedele “ ma dopo qualche anno emergono situazioni disastrose. Intervenire tempestivamente su più livelli e creare un sistema territoriale capace di accogliere l’orfano all’interno di una “normalità speciale” è l’unica strada per permettere a questi bambini e bambine di riuscire nella vita nonostante le avversità”
Il progetto, selezionato dalla Fondazione Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, è realizzato dalla cooperativa sociale Irene ‘95 (capofila), CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia), Save The Children, Terre des Hommes, Consorzio CO.RE., Azienda Ospedaliera Giovanni XXIII di Bari, APS Progetto Sirio, CENTRO FAMIGLIE Catania, Associazione THAMAIA, CIPM Sardegna, Coop. sociale KOINOS, Associazione CESTRIM, APS SINAPSI