“Non è degno di uno Stato civile non avere un censimento di quanti sono gli orfani di femminicidio. È aberrante che l’orfano debba fare domande per avere un sussidio e che questo non venga erogato immediatamente. Devono essere le istituzioni ad andare dagli orfani e non viceversa. A questi bambini è stata tolta non solo la cosa più importante, che è la madre, ma spesso sono tolti anche i loro sogni, si tratta di bambini che sono colpiti e non possono fare quello che avrebbero dovuto. A me, per esempio, è stato tolto il sogno di poter studiare. I giovani oggi hanno bisogno di essere ascoltati”.
È la denuncia lanciata da Giuseppe Delmonte al convegno Orfani di femminicidio: vittime due volte che si è svolto nella sala giunta della Regione Campania alla presenza di oltre un centinaio di operatori. Giuseppe è un orfano di femminicidio, un orfano “speciale”. Nel 1997 sua madre fu uccisa dall’ex marito a colpi d’ascia. All’epoca lui e i suoi fratelli furono lasciati soli, oggi a distanza di anni è diventato un testimonial del Progetto Respiro, raccontando la sua esperienza in giro per l’Italia e battendosi per gli altri orfani di femminicidio.
Fino a due anni fa non esistevano stime ufficiali su quanti fossero gli orfani di femminicidio in Italia. Oggi, grazie al lavoro fatto dal progetto Respiro (selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile) sappiamo che nel sud Italia ne sono stati individuati almeno 305 sotto i 21 anni. Un lavoro lungo e difficile, fatto di ricerche manuali nei meandri della cronaca nera e nei dati dei centri antiviolenza.
Orfani di femminicidio. Cosa si può fare concretamente per questi ragazzi, spesso minorenni?
“La caratteristica fondamentale del modello d’intervento di Respiro è l’accompagnamento degli orfani e dei loro carergiver in una logica multiagenzia trauma informed, a partire dalla costruzione e sperimentazione di forti relazioni personali che si vivono nella quotidianità con vite segnate dal lutto e dal trauma – ha spiegato Fedele Salvatore, presidente della cooperativa sociale Irene 95, ente capofila del progetto Respiro – Il significato e il valore del nostro intervento sta tutto nell’acronimo che abbiamo scelto per definire questo progetto: Re.S.P.I.R.O. (Rete di sostegno per Percorsi di Inclusione e Resilienza con gli Orfani speciali)”.
Nel corso della mattinata di lavori sono emerse le criticità che si incontrano quando succede un femminicidio e si è discusso di come fare fronte al problema. Fondamentale diventa quindi l’istituzione di un sistema di raccordo tra uffici territoriali e centrali, che permetta la raccolta di dati sul numero totale di orfani di femminicidio. I numeri permettono non solo di monitorare il fenomeno, ma anche di comprenderne la portata, avviare una legislazione che tenga conto del fenomeno, e permettere un’analisi dell’efficacia della legislazione esistente. Inoltre, bisogna lavorare ad una formazione specifica sul fenomeno per tutti gli operatori degli enti che possono entrare in contatto con orfani di femminicidio, a partire dalla magistratura e dalle forze di polizia.
Sul fronte della cosiddetta “prima emergenza”, ossia tutto quello che succede appena accade un femminicidio, è emersa la necessità che le equipe di Respiro vengano riconosciute come attori fondamentali da parte delle istituzioni locali e siano così chiamate a intervenire prontamente; che si instauri un meccanismo virtuoso di pronto intervento standardizzato in tutti i territori; che gli operatori / attori chiamati a intervenire ‘in emergenza’ siano debitamente formati.
Una nuova campagna di comunicazione
Il convegno è stata anche l’occasione per il lancio della campagna di comunicazione che verrà diffusa nel giro di poche settimane. Un video potente e d’impatto in cui si vede un bambino mentre gioca sul pavimento con i gessetti colorati. Poi l’inquadratura si allarga e si scopre che il bimbo sta disegnando sul pavimento la sua stessa sagoma accanto a quella della mamma vittima di femminicidio “L’idea di questo spot è nata dal desiderio di togliere dall’invisibilità e dall’indifferenza gli orfani di speciali. Per farlo, abbiamo creato una campagna che permettesse di immergere lo spettatore all’interno del dramma familiare che si è consumato”, ha commentato Paolo Ferrara, direttore generale di Terre des Hommes Italia.
Al convegno sono intervenuti molti operatori del settore. A fare gli onori di casa l’assessora alle Politiche sociali della Regione Campania Lucia Fortini: “La Regione sta cercando di fare da ponte rispetto a situazioni che possono essere complicate, come quelle dei femminicidi. Vogliamo dare una mano agli ambiti territoriali che spesso non hanno strumenti per affrontare situazioni particolarmente complicate”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche la consigliera Roberta Gaeta: “Credo che questo progetto, che in Campania nasce e si consolida, sia una grande opportunità per i territori. Questo è uno strumento operativo, e sottolineo la parola strumento, sono procedure, protocolli operativi perché nella realtà e concretezza, quando accadono tragedie come quelle di cui siamo a conoscenza, si trovino risposte vere”.
Secondo Marianna Giordano, presidente Cismai, “è terribile pensare a una donna uccisa, terribile per i figli, per la famiglia: queste braccia possono restare aperte se sono sostenute dalla comunità. Costruiamo reti per sostenere”. Giovanni Galano, garante regionale infanzia e adolescenza ha aggiunto che “stiamo mettendo in piedi delle cose concrete di azione, non solo parole. Dobbiamo prevenire, evitare che ci siano questi orfani. Dobbiamo fare una prevenzione che definirei antropologica. Dobbiamo formare i nostri ragazzi, dobbiamo insegnare all’apertura e alla reciprocità”.