Disturbi alimentari: una ferita silenziosa sempre più figlia dei nostri vuoti - Terre des Hommes Italia

Disturbi alimentari: una ferita silenziosa sempre più figlia dei nostri vuoti

Anoressia, bulimia, binge eating: i disturbi alimentari colpiscono i più giovani ma non solo. Ecco come riconoscerli, prevenirli e agire per proteggere gli affetti.

Nel mondo, ogni anno milioni di bambini, adolescenti e giovani adulti affrontano una battaglia silenziosa: quella contro i disturbi alimentari. Anoressia, bulimia, binge eating sono molto più che difficoltà con il cibo. Sono manifestazioni profonde di sofferenza interiore, spesso legate a contesti di disagio emotivo, pressione sociale, traumi o esclusione. Dietro ogni caso c’è una storia di lotta, di ricerca di controllo, di bisogno di essere visti e amati, di vuoto emotivo.

Cosa sono i disturbi alimentari?

Tecnicamente si chiamano “Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione” o “Disturbi del comportamento alimentare” abbreviati in DCA.
Nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), uno dei principali strumenti per psichiatri e psicologi, vengono descritti anche questi disturbi. Si parla, dunque, di questioni che hanno a che fare con la psiche.

La definizione del DSM-5

Il DSM-5 fornisce la seguente definizione dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione: “I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”.

Non solo anoressia e bulimia: tutti i disturbi alimentari

Oltre alle forme più conosciute, come l’anoressia e la bulimia nervose, il DSM-5 indica anche altri disturbi del comportamento alimentare (le prime tre riguardano soprattutto i disturbi della nutrizione dell’infanzia):
● Pica
● Disturbo di ruminazione
● Disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo
● Anoressia nervosa
● Bulimia nervosa
● Disturbo da alimentazione incontrollata
● Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con specificazione
● Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione
Vediamoli nel dettaglio.

Pica, il disturbo dell’infanzia (ma non solo)

Comporta l’ingestione persistente di sostanze non commestibili (come carta, sabbia, sapone) e il manuale DSM-5 specifica che questo comportamento deve manifestarsi per almeno un mese continuativo per definirsi propriamente un disturbo. È più frequente nei bambini ma può presentarsi anche in persone con disabilità intellettiva.

Disturbo di ruminazione

Anche se il DSM-5 non lo classifica più tra i disturbi dell’infanzia, questo disturbo si manifesta soprattutto nei bambini. Si tratta di un fenomeno che riguarda, infatti, il rigurgito di cibo, che viene masticato nuovamente. Anche in questo caso si tratta di un disagio se si verifica per almeno un mese consecutivo e spesso è legato anche a problemi gastrointestinali. Può portare a problemi nutrizionali.

Disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo (ARFID)

Il disturbo da evitamento o restrizione dell’assunzione di cibo, conosciuto anche come ARFID, non riguarda il peso o l’aspetto fisico, ma un rifiuto profondo del cibo per motivi diversi: scarso interesse per il mangiare, forte reazione alle consistenze o agli odori, oppure paura di conseguenze negative (come il vomito o il soffocamento).

Questa condizione può colpire bambini e adulti, e porta spesso a gravi carenze nutrizionali, perdita di peso, crescita compromessa o dipendenza da integratori e alimentazione artificiale. Ma la conseguenza più invisibile — e forse più dolorosa — è l’isolamento sociale: non riuscire a condividere un pasto, evitare situazioni familiari o scolastiche, sentirsi “diversi”.

È importante sottolinearlo: l’ARFID non nasce da una volontà estetica, e non è legato a disturbi come anoressia o bulimia. È un disagio reale, che merita ascolto, rispetto e attenzione clinica. Nessun bambino dovrebbe essere lasciato solo davanti a un piatto che fa paura.

Anoressia nervosa: molto più di un rifiuto del cibo

L’anoressia nervosa è uno dei disturbi alimentari più gravi e pericolosi, soprattutto per gli adolescenti, anche se si può manifestare negli adulti con la stessa gravità. Non si tratta solo di “mangiare poco”, ma di una condizione profonda e complessa, dove il cibo diventa il mezzo con cui controllare l’ansia, il corpo e — spesso — un dolore invisibile.

Il DSM-5 ha aggiornato i criteri diagnostici per renderli più inclusivi e aderenti alla realtà di chi soffre: oggi, non è più necessario, per ricevere una diagnosi, arrivare a condizioni di grave disagio come, ad esempio, se una ragazza perde il ciclo mestruale (l’amenorrea è una delle conseguenze di un corpo malnutrito): è diventato chiaro che l’anoressia può colpire anche bambini, uomini o donne adulte che, pur avendo sintomi gravi, continuano ad avere una vita apparentemente “normale”.
La diagnosi si basa su tre elementi chiave:

1. Restrizione significativa del cibo, che porta a un peso corporeo molto basso rispetto all’età e alla crescita attesa.
2. Paura intensa di ingrassare, anche quando si è sottopeso, o comportamenti che impediscono di aumentare di peso.
3. Percezione distorta del proprio corpo, con bassa autostima legata al peso e incapacità di riconoscere la gravità della propria condizione.

Esistono due sottotipi:
Anoressia con restrizioni: chi soffre limita drasticamente l’assunzione di cibo, senza abbuffate né comportamenti compensatori.
Anoressia con abbuffate/eliminazione: chi alterna restrizioni a episodi di abbuffate e vomito autoindotto o uso improprio di lassativi.

La gravità viene classificata in base all’indice di massa corporea (IMC) e al sottopeso che si registra nel paziente che può andare da lieve a grave.

È importante sapere che l’anoressia può entrare in remissione parziale o completa, ma il percorso di guarigione è lungo e delicato. Servono empatia, ascolto, terapie mirate e — soprattutto — un ambiente che protegga, non che giudichi.

Bulimia nervosa: il controllo che sfugge di mano
La bulimia nervosa è un disturbo alimentare che si manifesta attraverso un ciclo doloroso e logorante di abbuffate seguite da comportamenti compensatori estremi — come il vomito autoindotto, l’uso improprio di lassativi o il digiuno — messi in atto per tentare di “annullare” ciò che si è appena mangiato.

A differenza dell’anoressia, le persone con bulimia hanno spesso un peso nella norma o anche superiore, e proprio per questo il loro dolore rischia di passare inosservato.
Il DSM-5 ha aggiornato i criteri diagnostici per renderli più precisi: ora basta che le abbuffate e le condotte compensatorie si verifichino almeno una volta alla settimana per tre mesi per poter parlare di bulimia nervosa (prima era richiesto il doppio della frequenza).

I segnali da conoscere e riconoscere
1. Episodi ricorrenti di abbuffata: in un breve arco di tempo (circa due ore), la persona consuma una quantità di cibo molto più grande rispetto alla norma, con la netta sensazione di perdere il controllo.
2. Condotte compensatorie inappropriate: vomito autoindotto, uso di lassativi, diuretici, digiuno, esercizio fisico compulsivo.
3. Questi comportamenti si verificano in media almeno una volta a settimana per tre mesi.
4. L’autostima è profondamente legata al peso e alla forma del corpo.

Anche per la bulimia, il DSM-5 ha introdotto una classificazione della gravità basata sulla frequenza settimanale delle condotte compensatorie:
Lieve: 1–3 episodi a settimana
Moderata: 4–7 episodi a settimana
Grave: 8–13 episodi a settimana
Estrema: 14 o più episodi a settimana

Un dolore invisibile
La bulimia spesso vive nascosta dietro comportamenti “normali”. Chi ne soffre può sorridere in pubblico e nascondere una battaglia silenziosa fatta di senso di colpa, vergogna, e solitudine. Ma non deve essere così. Riconoscere i segnali e offrire aiuto può cambiare tutto.
Nessuno dovrebbe affrontare questa condizione da solo. Ogni persona ha diritto a una relazione sana con il cibo, il corpo e l’amore per sé.

Disturbo da binge-eating: quando il cibo diventa rifugio e prigione

Il disturbo da binge-eating, o disturbo da alimentazione incontrollata, è stato ufficialmente riconosciuto dal DSM-5 come una categoria diagnostica a sé. Chi ne soffre vive episodi di abbuffate ricorrenti, in cui consuma grandi quantità di cibo in poco tempo, accompagnati da una forte sensazione di perdita di controllo.
A differenza della bulimia, non ci sono condotte compensatorie (come il vomito o il digiuno), e questo porta spesso a un evidente aumento di peso e a un senso di colpa profondo e paralizzante.

Come riconoscere il disturbo
Il binge-eating si manifesta con:
1. Abbuffate frequenti, almeno una volta a settimana per tre mesi, in cui si mangia molto più del normale in breve tempo.
2. Perdita di controllo durante l’episodio.
3. Presenza di almeno tre di questi comportamenti:
o Mangiare molto rapidamente.
o Mangiare fino a sentirsi fisicamente male.
o Mangiare anche senza fame.
o Mangiare da soli per la vergogna.
o Sentirsi disgustati, depressi o colpevoli dopo l’abbuffata.
Chi soffre di questo disturbo prova un forte disagio emotivo per ciò che accade, ma spesso non ha gli strumenti — né il contesto — per chiedere aiuto. E può essere molto difficile parlarne, proprio per la vergogna che lo circonda.

Come negli altri disturbi alimentari, anche qui il DSM-5 classifica la gravità in base alla frequenza delle abbuffate settimanali:
Lieve: 1–3 episodi
Moderato: 4–7 episodi
Grave: 8–13 episodi
Estremo: 14 o più episodi
Questo disturbo può colpire bambini, adolescenti e adulti, e non sempre è legato al peso: ci sono persone normopeso che vivono episodi di binge-eating senza che nessuno se ne accorga. Ma il dolore c’è, e ha bisogno di uno spazio sicuro dove potersi esprimere.

Altri disturbi specificati e non specificati

Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con specificazione: riguarda casi che non soddisfano pienamente i criteri di uno specifico disturbo, ma che comportano gravi conseguenze per la salute fisica e psicologica.
Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione: diagnosi che si applica quando i sintomi sono significativi ma non rientrano in nessuna delle categorie definite.
Ortoressia: ossessione per il cibo sano, che può diventare patologica.
Vigoressia: fissazione per l’aumento della massa muscolare, spesso associata a disturbi dell’immagine corporea.

La salute fisica e mentale è un diritto che va tutelato

Come Terre des Hommes, il nostro impegno per la salute fisica e mentale dei bambini non può prescindere da un’azione decisa anche contro i disturbi alimentari, che rappresentano una delle forme più subdole e trascurate di disagio giovanile. Affrontarli significa ascoltare, comprendere e costruire ambienti più inclusivi, empatici e tolleranti.
Quando un bambino o un adolescente sviluppa un disturbo alimentare, è un segnale d’allarme che qualcosa nel suo ambiente di crescita si è rotto: può mancare il sostegno emotivo, può esserci una pressione sociale eccessiva, una discriminazione di genere, una marginalizzazione culturale. I DCA sono anche un problema di giustizia sociale e di pari opportunità, perché colpiscono con maggiore incidenza chi è più vulnerabile.

Disturbi alimentari: a che età si sviluppano maggiormente?

La fascia d’età più colpita è quella adolescenziale ma negli ultimi tempi si è registrato un drammatico abbassamento dell’età delle persone con DCA. L’età tipica di esordio era – fino a qualche anno fa – tra i 14 e i 16 anni, oggi è scesa tra gli 11 e i 13 anni.
Questo fenomeno è aggravato dalla pressione sociale, dai canoni estetici irraggiungibili diffusi dai media e dai social network, da ambienti scolastici competitivi e, spesso, dalla mancanza di ascolto in famiglia.

L’impatto di genere sui disturbi alimentari

Un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità sui pazienti ospitati nelle strutture italiane, ha rivelato che l’utenza in carico è prevalentemente di genere femminile (90% rispetto al 10% di maschi). Il 59% degli utenti hanno tra i 13 e 25 anni di età, il 6% hanno meno di 12 anni.
Rispetto alle più frequenti diagnosi l’anoressia nervosa è rappresentata nel 42,3% dei casi, la bulimia nervosa nel 18,2% e il disturbo di binge eating nel 14,6%.

Le ragazze sono, quindi, statisticamente più colpite e dovrebbe essere naturale domandarsi il perché. Le risposte generali le possiamo cercare nella pressione costante delle performance fisiche e sociali e sul peso di una fragilità emotiva: non sentirsi abbastanza, non essere ascoltate, non essere riconosciute nei propri bisogni più profondi. Molte ragazze crescono interiorizzando l’idea che il loro valore dipenda dall’aspetto fisico: i social media, le narrazioni sulla bellezza e l’ipersessualizzazione precoce, contribuiscono a rafforzare modelli irraggiungibili e pericolosi. L’ossessione per il corpo diventa, allora, l’unico modo per sentirsi viste. Ma è un’illusione che lascia vuoti profondi.

In questo, anche la realtà LGBTQIA+ registra tassi allarmanti di DCA a causa di discriminazioni, rifiuto familiare e isolamento sociale. La disforia di genere e i disturbi alimentari condividono infatti una caratteristica comune: l’insoddisfazione verso la propria immagine corporea: secondo uno studio scientifico, le persone transgender e non binarie sono particolarmente vulnerabili a sviluppare disturbi alimentari, con una prevalenza che varia dal 2% al 18%.

Cosa fare di fronte a un disturbo alimentare

È importantissimo rivolgersi a persone qualificate, che possano valutare la situazione per quella che è e formulare una diagnosi: quindi un medico, uno psicologo o un terapeuta. Al livello familiare è importante attivare altre strategie che possono contribuire a migliorare la percezione di sé.

Cercare aiuto specializzato

I DCA non si risolvono da soli. È fondamentale rivolgersi a persone con esperienza e qualifiche nel settore. In Italia, esistono diverse strutture pubbliche e private che offrono supporto, come il numero verde SOS Disturbi Alimentari (800 180 969) o le reti regionali dei centri DCA o i consultori territoriali.

Osservare e ascoltare

Chi soffre di un disturbo alimentare spesso cerca di nascondere il proprio disagio. Segnali come il rifiuto del cibo, la fissazione per il peso, il vomito indotto, i digiuni prolungati, l’ansia nei pasti o la chiusura relazionale devono accendere un campanello d’allarme.

Parlare con empatia

Evitare giudizi o confronti è il primo passo, mostrare disponibilità all’ascolto, con frasi come “Come ti senti davvero?”, “Posso aiutarti in qualche modo?”, “Ti va di parlarne con qualcuno di esperto?” è fondamentale. L’empatia è il primo passo verso il cambiamento e si può imparare a utilizzare questo approccio.

L’impegno di Terre des Hommes per l’inclusione e la salute mentale

Terre des Hommes interviene per:
● Garantire un’alimentazione sana ed equilibrata nei contesti più fragili
Sensibilizzare le famiglie sull’importanza dell’equilibrio nutrizionale e del benessere psico-fisico
● Offrire sostegno psicologico ai bambini e alle bambine vittime di traumi, anche legati all’alimentazione
Collaborare con scuole, istituzioni e comunità locali per creare un cambiamento culturale duraturo.

In particolare abbiamo fatto nascere il progetto Food for Fine che sperimenta un modello di intervento e di contrasto al fenomeno del disagio psicologico di 120 adolescenti, tra 11 e 18 anni, legato ai disturbi dell’alimentazione, all’interno della città metropolitana di Milano.

Gli adolescenti sono coinvolti in attività che stimolano creatività, socializzazione e benessere, in contesti non medicalizzati. Questo permette di prevenire e gestire il disagio psicologico favorendo un ambiente naturale e non stigmatizzante. Tra le azioni di supporto dirette ai minori, “Back to Food“, laboratorio di riavvicinamento al cibo, “Yoga for eating disorder”, che propone pratica yoga con la presenza di uno psichiatra/psicologo ed un percorso sul cibo e sul sé, un corso di boxe emozionale, i laboratori di fumetto e di circo sociale e molto altro.

Gli adulti (insegnanti, genitori, allenatori) sono formati a riconoscere i segnali del disagio e fornire supporto in modo autonomo. Per i genitori con figli affetti da DNA, in particolare, sono previsti gruppi di supporto. Nei centri sportivi si realizza un percorso di formazione per coach e giovani, su DNA, percezione del corpo e performance

Contrastare i disturbi alimentari non è solo una questione sanitaria: è una questione di giustizia. Significa garantire a ogni bambino il diritto a vivere in un ambiente sicuro, accogliente, capace di valorizzare le diversità senza umiliazioni, giudizi o esclusione.

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