Quando è arrivato alla nostra Casetta, Stefano[1] era molto provocatorio. Pur essendo molto piccolo aveva accumulato una grossa dose di rabbia nei confronti degli adulti. Si alzava di notte e faceva la pipì negli angoli della casa anche se era capacissimo di andare in bagno. Era il suo modo di mettere alla prova gli educatori e vedere fino a che punto l’avrebbero comunque accolto.
Stefano è stato uno dei primi piccoli ospiti della Casetta di Timmi, la comunità educativa di tipo familiare aperta cinque anni fa da Terre des Hommes e Comin per accogliere bambine e bambini (da 0 a 5 anni) allontanati dalle famiglie su provvedimento dell’autorità giudiziaria perché esposti a situazioni di rischio o già vittime di maltrattamenti.
Come il caso di Stefano, che veniva da un’esperienza di abbandono che lo aveva reso incapace di esprimere affettività perché la paura di essere di nuovo abbandonato era più forte di ogni cosa. La sua rabbia, le sue provocazioni erano in realtà una richiesta di attenzioni.
“Nel tempo, vedendo che nonostante tutto quello che faceva veniva accudito e amato, piano piano ha ridotto le provocazioni, ha accettato il contatto fisico e iniziato a relazionarsi con gli altri bambini e con gli adulti”, racconta Daniela Di Dio, coordinatrice di Comin. “Ha cominciato ad andare a scuola e, infine, quando il suo percorso qui è stato considerato concluso, è stato affidato a una famiglia dove sta crescendo sereno”.

Cinque anni di accoglienza e cura
Dal momento della sua apertura, il 10 dicembre 2020, ad oggi la Casetta di Timmi ha assicurato protezione, affetto, serenità, e cure mediche a 18 bambini e bambine con storie di negligenza e violenza alle spalle.
Molti provengono da famiglie segnate da dipendenze da sostanze stupefacenti o alcool, oppure da genitori fragili non in grado di prendersi cura di loro.
Arrivati alla Casetta i bambini e le bambine vengono accolti in un’atmosfera accogliente e dal calore della famiglia residente, che è affiancata da una equipe di 4 educatori e una coordinatrice qualificati che creano quel contesto quotidiano di cura, accudimento ed equilibrio funzionali al benessere e alla creazione di legami sani per i bambini accolti. Tutta l’equipe collabora con pediatri, neuropsichiatri, psicoterapeuti, avvocati e volontari.
Dopo una valutazione dei loro bisogni, infatti, i bimbi vengono seguiti dal punto di vista educativo, medico, psicologico, sociale e legale, grazie a una consolidata rete con i servizi del territorio. A seconda dell’età vengono inseriti al nido, alla scuola dell’Infanzia o primaria per facilitare l’integrazione con gli altri bambini della cittadina.
Un percorso di cure così personalizzato può portare a cambiamenti sorprendenti: bimbi che parlavano e si muovevano pochissimo iniziano a parlare e giocare. Ricominciano a ridere e divertirsi, recuperano la manualità e le capacità relazionali.
L’importanza della relazione
Proprio queste capacità sembravano mancare completamente a Sara, che quando è arrivata parlava pochissimo nonostante avesse già tre anni. “Non sapeva relazionarsi con gli altri bambini e aveva molta paura delle figure maschili”, spiega Javier, educatore professionale che assieme a Silvia costituisce la famiglia d’accoglienza. “L’aspetto più singolare è che sapeva fare le pulizie in casa ma non sapeva giocare, nel gioco della fattoria non era in grado di riconoscere il cavallo o la mucca, ma sapeva spolverare lavare i piatti e pulire per terra. Era molto difesa, chiusa e guardinga, pensava di doversela cavare da sola in tutto…” La trascuratezza di cui era stata vittima nella famiglia d’origine era evidente anche dal pessimo stato dei suoi dentini, per i quali è stata necessaria un’operazione.
Giorno dopo giorno, grazie anche alla relazione con Javier, Sara ha recuperato la fiducia verso il mondo degli adulti e in particolare con la figura maschile. “Nel giro di una decina di mesi è riuscita a riappropriarsi dell’infanzia fatta di giochi con gli altri bambini e ha cominciato a parlare tanto da diventare una gran chiacchierona!”.
Un percorso cruciale con sbocchi diversificati
Ove possibile, su indicazione dell’autorità giudiziaria, i bambini mantengono i rapporti con i genitori incontrandoli allo Spazio Neutro, con un’adeguata assistenza per non creare turbamenti.
Alcuni dei piccoli ospiti, terminato un percorso di assistenza e supporto alla famiglia di origine, sono rientrati a casa. Altri, invece, sono stati accolti in altre famiglie, in affido o adozione, risultate le scelte più funzionali alla loro tutela e progetto di vita.
Dalla confisca a progetto con alto valore sociale
La Casetta di Timmi è una villetta con giardino che può ospitare fino a 6 bambini. Poco prima della confisca a una famiglia legata alla ‘ndrangheta era stata vandalizzata per ritorsione, lasciandola in pessimo stato. Adesso i suoi locali e lo spazio verde che la circonda risuonano delle risate dei bambini. “Ci teniamo ad avere spazi sempre curati e belli, non perché ci interessi la ricchezza (tutto nella casa è molto sobrio), ma perché è molto importante avere spazi accoglienti, curati e ordinati per il benessere dei bimbi”, spiega Daniela Di Dio.
All’accoglienza della comunità partecipano diversi volontari del territorio, importanti collaborazioni sono state avviate con le scuole materne e primarie in cui sono inseriti i bambini, la biblioteca e le società sportive locali, mentre la Casetta è diventata un punto di riferimento per la Rete di famiglie accoglienti della zona, coppie e famiglie che hanno bimbi in affido familiare o che stanno facendo il percorso di formazione.
“L’apertura della Casetta di Timmi ha rappresentato per Terre des Hommes un traguardo importante nella strategia di contrasto e prevenzione della violenza sui bambini della nostra Fondazione, iniziato molti anni fa con lo studio del fenomeno del maltrattamento e la costruzione di reti a livello ospedaliero, universitario e associativo”, spiega Federica Giannotta, responsabile Advocacy e Programmi Italia di Terre des Hommes. “Con questo progetto siamo in grado offrire quella cura, assistenza e protezione che ogni bambino fragile, allontanato dalla propria famiglia, dovrebbe avere. I risultati si vedono: dopo qualche mese di permanenza i bambini rifioriscono, si riprendono la spensieratezza tipica dell’infanzia, mostrano insospettate risorse emotive e intellettuali che li possono sostenere nella loro futura vita”.
“Siamo estremamente contenti di festeggiare i nostri primi 5 anni con la consapevolezza che stiamo facendo un lavoro che risponde davvero, in modo profondo, ai bisogni dei bambini”, sostiene ancora Daniela Di Dio. “Rimaniamo dell’idea che per situazioni così complesse l’unione tra famiglia ed equipe di educatori professionali sia la risposta giusta per rispondere ai diversi bisogni di bimbi che hanno storie e vissuti complessi. Siamo molto contenti anche delle relazioni con il territorio, per questo mi piace sempre ricordare il detto africano “Ci vuole un villaggio intero per crescere un bambino”. La nostra idea di comunità è così, una comunità con tre mura e uno spazio aperto per ampliare alla società civile la cultura dell’accoglienza”.
[1] Tutti i nomi sono di fantasia











